Conta la fine dell’invalidità temporanea per la liquidazione del danno biologico permanente
Occorre far riferimento all’età della vittima al momento di cessazione di tale invalidità: solo allora il danno può dirsi venuto a esistenza
Con l’ordinanza n. 22839/2025, la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in materia di liquidazione del danno biologico, nell’ambito di una controversia tra un’impresa operante nel settore edile e un lavoratore, originata da un grave infortunio sul lavoro, a causa del quale il dipendente aveva perso un occhio.
Già la Corte d’Appello, in riforma della pronuncia del giudice di prime cure, aveva condannato il datore di lavoro al pagamento di circa 100.000 euro in favore del prestatore di lavoro, a titolo di danno differenziale.
Nello specifico, la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente una violazione degli obblighi informativi e formativi da parte del datore di lavoro, unitamente al mancato utilizzo di adeguati dispositivi di protezione (DPI): nell’affermare la responsabilità ex art. 2087 c.c. in capo al datore, il giudice di seconde cure aveva liquidato il danno biologico differenziale e il danno non patrimoniale, oltre alla rivalutazione degli interessi su somme rivalutate con decorrenza dalla maturazione del diritto.
A fronte di ciò, il datore di lavoro si rivolgeva alla Suprema Corte, articolando il proprio ricorso in due “blocchi” di motivi: da un lato, sottolineando l’erroneità della pronuncia dal punto di vista della valutazione delle circostanze di fatto (concernenti l’assenza di DPI, l’abnormità della condotta del lavoratore, la presenza di un eventuale concorso di colpa) e, dall’altro, lamentando l’erronea quantificazione del danno.
I giudici di legittimità, investiti della controversia, accolgono il ricorso del datore, ma soltanto con riferimento al secondo “blocco” di motivi.
Per quanto riguarda il primo profilo, la Cassazione è lapidaria nel ritenere il ricorso infondato e rileva come la pronuncia della Corte d’Appello abbia correttamente accertato la non abnormità della condotta del dipendente, posto che il datore è tenuto, ai sensi dell’art. 2087 c.c., a prevenire le condizioni di rischio insite nella negligenza, imprudenza e imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto ogni mezzo preventivo idoneo; al tempo stesso, il giudice di seconde cure aveva accertato che, nel cantiere in cui si verificava l’evento, non erano presenti i DPI che avrebbero impedito l’infortunio, nonché l’assenza del datore ovvero di un suo preposto a vigilare circa l’osservanza delle misure di sicurezza. Detti rilievi sono sufficienti, sottolinea la Corte, per affermare la responsabilità datoriale ed escludere il concorso colposo del datore.
Ciò assunto, i giudici di legittimità passano all’esame del secondo “blocco” di quattro motivi articolati dal datore, in punto di quantificazione del danno: a differenze dei precedenti, come sopra anticipato, tutti e quattro vengono dichiarati fondati dalla Cassazione.
In primo luogo il datore di lavoro lamentava l’erronea individuazione dell’età del danneggiato, che aveva 26 anni e non 25 alla data della domanda, posto che il danno permanente avrebbe dovuto essere valutato all’esito dell’inabilità temporanea e, quindi, con riferimento all’età all’epoca posseduta. La Corte accoglie detto motivo, chiarendo come, nella liquidazione del danno biologico permanente, occorra far riferimento all’età della vittima non al momento del sinistro, bensì a quello di cessazione dell’invalidità temporanea, poiché solo a partire da tale momento, con il consolidamento delle conseguenze fisiche o psichiche derivanti dall’infortunio, quel danno può dirsi venuto a esistenza.
Il datore rilevava, inoltre, l’erroneità della pronuncia del giudice di seconde cure nel momento in cui aveva dato luogo all’automatica personalizzazione del danno, anche in assenza di precise allegazioni a opera del lavoratore. Sul punto, la Cassazione è chiara nel sancire la fondatezza del motivo, non essendo stata motivata la personalizzazione in relazione alle allegazioni della parte ed essendo onere del giudice dar conto espressamente delle specifiche circostanze – o indicate dalla parte o, comunque, risultanti dagli atti – che valgono a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari.
Ancora, il datore deduceva la violazione dell’art. 1223 c.c., per gli interessi calcolati su somme integralmente rivalutate quale danno da lucro cessante. Nel dichiarare anche questo motivo fondato, i giudici di legittimità chiariscono che gli interessi si calcolano su somme “annualmente e via via rivalutate”.
Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, il datore di lavoro lamentava la violazione dell’art. 1218 c.c., per la diversa decorrenza di interessi e rivalutazione in relazione a diversi tipi di danno. Nel dichiarare fondato il motivo, la Corte rileva che solo per il danno biologico temporaneo gli interessi relativi al lucro cessante da ritardo possono decorrere dalla data del sinistro, mentre per il danno biologico differenziale permanente, come per quello morale, gli interessi si calcolano dalla fine del periodo di invalidità temporanea, che rappresenta il momento a partire dal quale tali danni vanno liquidati.
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