Anedda e Bicocchi: ecco perché versare oltre il minimo del 10%
Caro Direttore,
abbiamo avuto modo di leggere l’intervento con cui il collega Gasparoni (si veda “Versare alla nostra Cassa di previdenza più del 10%? No, grazie” dell’11 novembre) – sulla scia del bel convegno cui l’Unione Giovani di Venezia ci ha fatto l’onore di invitarci – si domanda e Ti domanda per quale ragione dovrebbe seguire “i consigli di Anedda e Bicocchi e versare maggiori contributi alla CNPADC (fino a raggiungere, al limite, l’aliquota del 17%) e non, invece, destinare le stesse somme ad un fondo di previdenza complementare, i cui rendimenti” il collega presume “possano essere ben più elevati di quelli garantiti dalla nostra Cassa di Previdenza”.
Ebbene, Direttore: se ce lo permetti prendiamo il Tuo posto – solo per un attimo – per provare a fornire al collega, la cui domanda è sincera, doverosa e legittima, alcuni elementi tecnici ed informativi che opportunamente devono essere alla base di scelte quali quella su cui si interroga.
Il collega – è bene ricordarlo – per arrivare alla descritta domanda struttura il proprio intervento: ricordando con comprensibile amarezza le sorti del contributo di solidarietà a seguito dei ricorsi proposti da “alcuni nostri colleghi meno giovani”, in un contesto in cui alcuni di questi hanno recuperato in brevi lassi temporali tutti i versamenti contributivi effettuati durante la vita professionale (risultato, scrive il collega Gasparoni, per il quale lui ed i suoi coetanei dovranno “forse attendere la reincarnazione”); affermando che il nostro è attualmente un sistema previdenziale di tipo contributivo a ripartizione, “sicché quanto versiamo oggi non alimenta solo il nostro montante personale, ma serve anche a pagare le attuali robuste pensioni conteggiate pressoché integralmente con il sistema retributivo”.
Ciò premesso, vediamo alcune cose:
- in primo luogo, non va fatta confusione sul concetto di “sistema a ripartizione”, che attiene all’aspetto finanziario di come l’ente incassa i contributi e paga le pensioni, ma non certo alle modalità di composizione del montante; sicché, tutto quanto il dottore commercialista versa alla Cassa a titolo di contributo soggettivo, viene accreditato sul suo montante individuale (ciò che, banalmente, spiega a livello numerico perché il 17% – se vi è la possibilità di versarlo, naturalmente – “è meglio” del 10%); il contributo integrativo, invece, quello per cui andiamo in rivalsa presso la nostra clientela a termini di legge – e rispetto al quale è indipendente la scelta, su cui si interroga il collega Gasparoni, di versare il contributo soggettivo al 10 piuttosto che al 14% o al 17% – nell’attuale sistema non viene accreditato sul montante individuale, per essere destinato in primis al pagamento delle spese dell’ente e, soprattutto, alla significativa spesa assistenziale che il medesimo affronta a vantaggio degli iscritti (nella quale, tra l’altro, non risulta si impegnino gli enti eroganti previdenza complementare integrativa; non dimentichiamoci, a mero titolo esemplificativo, che nel 2009 la CNPADC ha destinato a questo titolo oltre due milioni di euro ai colleghi terremotati de L’Aquila);
- quanto sopra è tanto più vero quanto più è sostenibile (patrimonialmente e finanziariamente) l’ente assistenziale che eroga le prestazioni previdenziali ed assistenziali; questo è il caso della CNPADC che, proprio per questa ragione, grazie ai risultati ed all’equilibrio garantiti dai provvedimenti del 2003, sta ora attivandosi concretamente per completare l’attività riformatrice con il miglioramento delle prestazioni pensionistiche delle giovani generazioni; ci sono iniziative, delibere della CNPADC e progetti di legge in Parlamento che stanno concretamente proponendo, ad esempio, che anche una parte del contributo integrativo affluisca nel montante individuale degli iscritti (con sensibile miglioramento dei tassi di sostituzione); e la spinta della CNPADC verso l’adeguatezza delle prestazioni, non dimentichiamolo, ha già avuto formale ed ufficiale riconoscimento da parte dei Ministeri Vigilanti, che proprio per questa ragione, funzionalmente alla condivisa individuazione della modalità previdenziale meglio idonea ad un tanto, hanno recentemente concesso la proroga per due anni dell’aliquota del 4% per il contributo integrativo (generalmente l’incremento nell’aliquota di integrativo viene concesso in caso di disequilibrio dell’ente; nel caso di CNPADC, i Ministeri, pur “non rilevandosi i presupposti di squilibrio nel lungo periodo tali da giustificare il suddetto aumento”, lo hanno invece concesso “al solo scopo di consentire a codesto Ente di provvedere ad attivare altri parametri, leve ed azioni mirate alla adeguatezza delle prestazioni”);
- il collega Gasparoni presume che i rendimenti offerti dai fondi di previdenza siano molto più elevati di quelli garantiti da CNPADC; il fatto di presumerlo non equivale ad esserne sicuro; perché non andare a leggere gli ufficiali dati COVIP (l’authority sui fondi pensione) degli ultimi anni per maturare qualche elemento di sorpresa (pur tenuto conto dei rigorosi e conservativi criteri di prudenzialità cui un ente come CNPADC deve attenersi a garanzia dei propri iscritti)?
Da un punto di vista strettamente finanziario, non diamo per scontato che, in un ottica rischio-rendimento (nel nostro caso profilo superprudente), i rendimenti di lungo periodo maturati (incrementabili attraverso leve supplementari) siano peggiori delle alternative: per restare in tema di comparazioni, se il collega Gasparoni versa a CNPADC il 17% di soggettivo, la differenza tra il 10% ed il 17% viene integralmente accreditata sul suo montante individuale; se la versa ad un fondo di previdenza complementare integrativa, la stessa non viene forse incisa da una componente di spese di gestione (visto che i fondi pensione non hanno una contribuzione integrativa)? Altra questione è poi parlare dei rendimenti decisamente elevati ottenuti da alcuni Fondi pensione internazionali andati poi in default a seguito delle crisi dei mercati del 2001 e/o del 2008.
Da un punto di vista strettamente attuariale, invece, è certamente da apprezzare l’intuizione della reincarnazione perché ci richiama su un ulteriore aspetto determinante, ovvero che vivremo tutti di più: le previsioni più prudenziali (cfr. rapporto Nucleo di valutazione) parlano di un’aspettativa di vita che si incrementa di ulteriori 6 anni da qui al 2050. Si immagini cosa vuole dire per l’Ente pagare rendite incrementate mediamente di 72 rate mensili per tutti gli iscritti. La contrazione nel tempo del tasso di sostituzione atteso può essere considerata alla stregua del prezzo da pagare per vivere molto più a lungo di chi ci ha preceduti.
Ultimo e determinante punto: non esiste alcun altro Ente previdenziale di base in contributivo che consenta il versamento di un’aliquota talmente ridotta. Dobbiamo farci una ragione del fatto che questi limiti inferiori dovranno nel tempo essere incrementati se si vorrà mantenere il requisito imprescindibile della sostenibilità nel rispetto di una promessa pensionistica dignitosa ed adeguata. Gli sforzi compiuti per ottenere un riaccredito di quota dell’integrativo sui montanti individuali maturati in contributivo volgono in questa direzione.
Detto tutto quanto sopra, non esiste un conflitto tra previdenza di primo pilastro e previdenza di secondo (o terzo) pilastro, ne l’una può dirsi sempre o comunque migliore dell’altra; i due strumenti hanno natura e funzioni diverse e ben possono entrambi – in un’ottica non necessariamente di alternanza e contrapposizione – andare a comporre validamente il portafoglio previdenziale ed assistenziale del singolo dottore commercialista; in quel portafoglio, noi pensiamo, CNPADC c’è e ci deve essere, per merito e non per mero obbligo di legge.
Walter Anedda, Presidente Cassa di Previdenza e Assistenza Dottori Commercialisti
Luca Bicocchi, Vice Presidente Cassa di Previdenza e Assistenza Dottori Commercialisti
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