Versare alla nostra Cassa di previdenza più del 10%? No, grazie
Caro Direttore,
lunedì scorso ho partecipato ad un interessante convegno in materia di Cassa di Previdenza, in cui sono intervenuti il Presidente della CNPADC dott. Walter Anedda e il suo vice dott. Luca Bicocchi, i quali si sono dimostrati eccellenti, a mio modesto avviso, per preparazione tecnica e capacità dialettica.
L’incontro era imperniato sul c.d. “tasso di sostituzione” di cui beneficeranno (si fa per dire…) i giovani professionisti di oggi quando, tra molti anni, decideranno di tirare i remi in barca, ritirandosi in pensione: ebbene, considerando un versamento dei contributi soggettivi secondo l’aliquota minima del 10%, è stimabile un’entità della futura pensione annuale pari a circa il 25% dell’ultimo reddito professionale conseguito.
Di fronte all’evidente inadeguatezza di tale trattamento, i rappresentanti della Cassa hanno consigliato di elevare l’aliquota di contribuzione, portandola il più vicino possibile a quella massima, pari al 17%.
Orbene, consideriamo che:
- alcuni nostri colleghi meno giovani – in pensione, ma in attività – hanno avuto il buon cuore di ricorrere contro l’obbligo del versamento del contributo di solidarietà del 4%, ottenendo l’accoglimento delle proprie doglianze avanti alla Suprema Corte;
- alcuni nostri colleghi meno giovani, beneficiando (questa volta per davvero!) del sistema c.d. “retributivo”, hanno recuperato tutti i versamenti contributivi effettuati durante l’attività professionale in soli 11 mesi di pensione (trattasi di casi estremi, ma per molti è comunque sufficiente qualche anno di pensione per pareggiare i conti con quanto versato), mentre io e i miei coetanei dovremo forse attendere la reincarnazione per ottenere gli stessi risultati;
- la stragrande maggioranza di nostri colleghi meno giovani percepiscono la pensione e, stante qualsivoglia incompatibilità in tal senso, continuano a svolgere contemporaneamente la professione;
- il nostro è attualmente un sistema previdenziale di tipo “contributivo a ripartizione”, sicché quanto versiamo oggi non alimenta solo il nostro montante personale, ma serve anche a pagare le attuali robuste pensioni conteggiate pressoché integralmente con il sistema “retributivo”.
Alla luce di tutto ciò, mi domando e Ti domando, caro Direttore: per quale ragione dovrei seguire i consigli di Anedda e Bicocchi e versare maggiori contributi alla CNPADC (fino a raggiungere, al limite, l’aliquota del 17%) e non, invece, destinare le stesse somme ad un fondo di previdenza complementare, i cui rendimenti presumo possano essere ben più elevati di quelli garantiti dalla nostra Cassa di Previdenza, impegnata com’è a contemperare i “diritti acquisiti” delle precedenti generazioni con l’esigenza di un adeguato e decoroso futuro trattamento pensionistico a favore delle nuove generazioni?
Giovanni Gasparoni
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Venezia
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