ACCEDI
Mercoledì, 18 giugno 2025 - Aggiornato alle 6.00

LETTERE

Tre considerazioni sul nostro sistema previdenziale, presente e futuro

Venerdì, 22 aprile 2011

x
STAMPA

Caro Direttore,
mi permetto di entrare nella piccola diatriba nata sul tuo giornale tra il Presidente della CNPADC, Walter Anedda, e il collega Andrea Liparata, per fare alcune considerazioni di carattere personale che toccano tre distinti e dibattuti aspetti della vicenda (si vedano “Perché è meglio non aumentare i contributi” e “Anedda: «Per trattamenti adeguati, il contributo integrativo deve restare al 4%»” del 19 aprile).

La prima riguarda l’opportunità o meno di incrementare il contributo soggettivo minimo, portandolo dal 10% al 12%. Come ho già avuto modo di affermare in altra sede (istituzionale), ritengo che non sia opportuno procedere in tal senso, attese le grandi difficoltà che molti colleghi incontrano già oggi nel versamento dei contributi “Cassa” con le aliquote attuali. Mi riferisco soprattutto ai giovani. Non è un caso se sono iscritti al bilancio della CNPADC crediti relativi a mancati o ritardati versamenti contributivi: non credo che ciò sia attribuibile unicamente alla comune nonché atavica riluttanza al pagamento. Ritengo invece che in molti casi, specie tra i giovani colleghi (e in particolare – a quanto mi è dato vedere – tra quelli del Sud Italia), vi sia una seria difficoltà ad onorare, tra gli altri, gli obblighi contributivi. Così come non è un caso se, vigente la normativa ormai superata (grazie a una deliberazione dell’attuale Assemblea dei Delegati), a molti colleghi non siano stati riconosciuti esercizi contributivi per non aver raggiunto i limiti di reddito/volume d’affari IVA. E non credo si tratti di mancate fatturazioni: qui purtroppo capita sempre più spesso che, in carenza di altri sbocchi, la nostra professione venga scelta come una sorta di “parcheggio”. Ma qui la Cassa non c’entra nulla: è un problema molto più ampio che investe, al limite, la politica di categoria. Tornando al problema, invece, mi viene da pensare: ma perché, se versare un maggiore contributo soggettivo consente di incrementare il montante contributivo individuale e quindi di ottenere, in futuro, un trattamento pensionistico più adeguato (e questo è un dato oggettivo), molti degli iscritti (tra cui il sottoscritto) continuano a versare il minimo? Siamo forse tutti un poco tonti?

Seconda considerazione. Contrariamente a quanto pare di capire dalla risposta data dal Presidente Anedda al collega Liparata, ritengo che questi non stia sostenendo l’opportunità di riportare dal 4% al 2% il contributo integrativo, quanto quella di lasciarlo al 4%, destinando però un 2% di esso (essendo il residuo 2% sufficiente perché la Cassa mantenga il necessario equilibrio) per riversarlo integralmente e indistintamente a tutti gli iscritti, ad incremento del montante contributivo di ciascuno. Senza quindi alcun meccanismo premiante (contributo soggettivo a scelta dell’iscritto dal 10% al 17%, con riversamento di una parte del contributo integrativo sul montante individuale tanto maggiore per quanto maggiore sarà l’aliquota scelta per il versamento del contributo soggettivo e pari a zero con versamenti all’aliquota del 10%). Condivido pienamente questa tesi, come peraltro ho già avuto modo di affermare in sede istituzionale. Del resto, il 2% è identico sia che venga versato dall’iscritto che paga un contributo soggettivo al 10% sia che venga versato dall’iscritto che paga un contributo soggettivo al 17%. Approfitto per lanciare una proposta: e se, fermo restando l’accreditamento a tutti gli iscritti del 2% secondo la “proposta Liparata”, si legasse il versamento del contributo soggettivo al reddito dichiarato, nel senso di stabilire un’aliquota contributiva che sia direttamente proporzionale ai redditi prodotti, fino a un limite, magari del 15%, lasciando a ogni iscritto la possibilità di scegliere se sfondare tale aliquota fino a un tetto massimo prestabilito se non, addirittura, senza tetto?

Ultima considerazione. Tra le ipotesi di cui da tempo si discute per giungere al miglioramento delle future prestazioni pensionistiche (specie per le nuove generazioni), vi è quella di sostituire la più datata del meccanismo premiante, con la più recente che prevede l’incremento del contributo soggettivo minimo obbligatorio dal 10% al 12% con annessa una sorta di meccanismo “misto”, nel senso di riversamento comunque di parte del contributo integrativo sul montante individuale e successivo sistema premiante, da far funzionare come nell’ipotesi precedente (più ci si eleva rispetto al contributo soggettivo minimo del 12%, maggiore sarà la quota di contributo integrativo riversata sul montante individuale). Mi chiedo: cosa cambia tra le due ipotesi se non una maggiorazione del contributo soggettivo minimo che, come detto, ritengo non condivisibile? Forse che i Ministeri Vigilanti vogliano far passare come una concessione (riversamento di parte del contributo integrativo con il passaggio al contributo soggettivo minimo del 12%) quella che tale non è, visto che, anche nell’ipotesi precedente, elevandosi dal contributo soggettivo minimo del 10% si sortiva il medesimo effetto?


Sergio De Lorenzo
Delegato Assemblea CNPADC
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Paola

TORNA SU