Revisori degli enti locali, i nuovi criteri di nomina penalizzano noi giovani
Caro Direttore,
approfitto dello spazio che eventualmente vorrà concedermi per porre l’accento su una norma del DL 138/2011 che appare, ai miei occhi, lesiva degli interessi della nostra già bistrattata categoria professionale e, ancora una volta, fortemente discriminatoria nei confronti dei giovani commercialisti.
Mi riferisco, in particolare, al comma 25 dell’art. 16 del citato decreto, che disciplina i nuovi criteri di nomina dei revisori degli enti locali.
A parte il fatto che non si comprende il motivo dell’inserimento di tale disposizione in un articolo riguardante i soli Comuni (ma a questo siamo già abituati), la mia attenzione è caduta sui princìpi che un DM di prossima emanazione dovrà rispettare nella determinazione dei criteri per l’inserimento degli aspiranti revisori in un elenco, da cui verranno successivamente scelti mediante estrazione (!).
Si assiste, ancora una volta, a un tentativo di far passare il pensiero distorto per cui l’esperienza (rectius l’età) equivale a competenza, laddove il primo dei predetti princìpi parla di rapporto tra anzianità di iscrizione nel Registro dei revisori legali ovvero all’ODCEC e popolazione di ciascun Comune, e il secondo della necessità di aver avanzato in precedenza richiesta di svolgere la funzione nell’organo di revisione degli enti locali.
Con ciò penalizzando i giovani e chi, coerentemente (e con maggior probabilità giovane), non ha voluto sprecare tempo e carta per inviare una richiesta valutata, sino ad oggi, solo in funzione dell’appartenenza e delle “conoscenze” politiche.
A tal proposito mi chiedo: è più preparato un trentenne con specifica formazione in materia di enti locali o un sessantenne che pensa che il mandato sia un concetto che alberga solo nel Codice Civile (ovviamente il mio è solo un paradosso)?
Che titolo è l’aver avanzato una richiesta in carta semplice a un ente locale in un ritaglio di tempo? È un titolo che si autocertifica o bisogna produrre idonea documentazione?
Ma ancora meno accettabile, in quanto potenzialmente lesivo degli interessi dell’intera nostra categoria professionale, è l’ultimo dei tre princìpi fissati che, ai fini dell’inclusione nell’elenco, parla di specifica “qualificazione professionale” in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali.
Non un cenno alla formazione continua permanente.
Il che, sinceramente, fa sorridere, se si pensa che qualche pagina prima, all’art. 3 dello stesso DL 138/2011 recante “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni”, si annuncia solennemente che gli ordinamenti professionali dovranno necessariamente prevedere l’obbligo per l’iscritto di seguire percorsi di FCP, pena l’apertura di un procedimento disciplinare a suo carico (ho l’impressione di aver letto qualcosa di simile in un DLgs. di parecchi anni fa).
E allora, per dirla con Giulio Andreotti, “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.
A meno di una mia personale errata interpretazione, comunque giustificata dall’infelice formulazione adottata, la suddetta disposizione sembra essere stata cucita addosso a dirigenti e funzionari pubblici, magari in pensione per rispettare il requisito dell’anzianità, iscritti in quell’eterogeneo calderone rappresentato dal Registro dei revisori legali, e dei pochissimi colleghi, eletti e meritevoli, che si occupano esclusivamente di contabilità e revisione degli enti locali.
A mio avviso, la specifica qualificazione professionale di cui parla la norma ha poco a che fare con la formazione professionale che, al contrario, deve rappresentare l’unico discrimine tra un professionista in grado di assumere e svolgere correttamente un incarico e uno incapace; a nulla rilevando l’età o l’anzianità d’iscrizione.
Probabilmente, come correttamente osservato dalla stampa specializzata, sarebbe stato più coerente parlare di crediti formativi maturati in materia di contabilità pubblica.
È su questo terreno che ci vogliamo misurare noi giovani; la specifica formazione la possiamo acquisire mettendoci il tempo necessario e tanto impegno, mentre per raggiungere l’anzianità giusta sono necessari tanti – troppi – anni e, perché no, un po’ di fortuna.
Tuttavia, poiché il famigerato Decreto del Ministero dell’Interno è ancora lungi dall’essere emanato, il “danno” non è ancora fatto ed è perciò necessario che l’UNGDCEC e il Consiglio nazionale vigilino attentamente sulla concreta attuazione di una norma che, nell’apparente intento di porre rimedio a una delle tante storture del nostro sistema, finisce ancora una volta per creare sperequazioni a danno della categoria e conflitti generazionali.
In ogni caso, per quanto mi riguarda, non dispero: aspetto con pazienza di diventare vecchio e poi tutto sarà maledettamente più facile.
Massimo Mangiameli
Past President UGDCEC di Brindisi
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41