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LETTERE

Il sistema della spending review rischia di certificare, ma non di razionalizzare

Martedì, 17 aprile 2012

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Caro Direttore,
sono un Dottore Commercialista di Modena e ho letto con molta attenzione i tuoi articoli sulla spending review.

Mi riferisco anche all’assunto qui riportato:
“È indubbio che una parte di quell’incremento non sia agevolmente comprimibile e trovi anzi giustificazioni macroeconomiche e sociali: si pensi, in particolare, ai maggiori costi connessi al progressivo innalzamento dell’età media della popolazione. In particolare, la spesa per protezione sociale è passata dai 195 miliardi del 2000 ai 306 miliardi del 2011: una crescita nominale del 56,64%, cui corrisponde una crescita reale del 24,30%, pari a 60 miliardi di euro. È però difficile pensare, come invece le affermazioni del Ministro Giarda lasciano implicitamente intendere, che i restanti 64 miliardi di euro di quell’incremento complessivo di 124, generatosi per intero negli anni tra il 2000 e il 2006 e solo in minima parte riassorbito dal 2006 in avanti, non possa essere in buona parte ascritto più a sprechi, inefficienze e sperperi da tagliare che non ad accrescimento qualitativo del livello delle altre prestazioni erogate ai cittadini” (si veda “Ecco dove stanno i 124 miliardi di maggiore spesa reale tra il 2000 e oggi” del 14 aprile 2012).

A me pare di poter aggiungere che così ragionando si presuppone che prima del 2000 non vi fossero inefficienze e sprechi, debitamente cresciuti anche solo per logica inflazionistica e che fanno parte di quella spesa pubblica, al netto degli interessi, di 475 miliardi nel 2000. In realtà, chi ha i capelli bianchi come me e si occupa di professione da oltre 30 anni sa bene che anche prima del 2000 le inefficienze e gli sprechi esistevano eccome e che in gran parte non sono stati rimediati dagli interventi successivi.

Quindi temo che la spending review diventi un sistema di certificazione più che di razionalizzazione.

Offro uno spunto di riflessione ulteriore.
In Government finance statistics – summary tables – 2/2011, Eurostat certifica che il costo degli impiegati pubblici (compensation of employees) della Germania, nel 2010 è stato di 194.540 milioni di euro, pari al 7,9% del PIL (GDP); in Italia la stessa voce è stata di 172.315 milioni di euro, pari al 11,1% del PIL. Assumendo che in Germania gli abitanti siano 81.799,600 e in Italia siano 60.340.300 il costo pro-capite è pari a 2.378 euro per tedesco e 2.856 per italiano. La semplice differenza determina una maggior spesa complessiva di 28,8 miliardi di euro. (Questo poteva andare bene quando i lavori finti venivano pagati con soldi finti – le lire svalutabili; ora i soldi veri possono pagare solo lavori veri).


Enzo Gazzotti
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Modena


***


Caro Collega,
non vi è dubbio alcuno che già nel dato della spesa del 2000 sono inclusi fior di sprechi.
Abbiamo scelto quell’anno come riferimento perché comunque è quello che, serie storiche alla mano, presenta gli indicatori macroeconomici migliori (meno peggiori, in realtà) dal 1990 in avanti.
Il messaggio, in altre parole, è che, con buona pace del Ministro Giarda e dei moltissimi che la pensano come lui all’interno delle alte gerarchie statali, anche solo eliminando gli sprechi dell’ultimo decennio appena, si possono trovare risorse davvero importanti per abbassare la pressione fiscale e rilanciare quella parte del Paese che non vive nel Palazzo, o comunque nella pubblica amministrazione.

Grazie inoltre per gli interessanti spunti comparativi con i quali chiudi la tua lettera.
Ce li siamo annotati e ne faremo tesoro in vista di futuri approfondimenti.


Enrico Zanetti
Direttore Eutekne.Info

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