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LETTERE

Il sistema di incentivi mina l’imparzialità dell’Agenzia delle Entrate

Lunedì, 16 luglio 2012

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Caro Direttore,
leggo con interesse e soddisfazione la circolare n. 22 dell’11 giugno 2012, con la quale l’Agenzia delle Entrate fornisce indirizzi operativi agli Uffici in relazione alla gestione del contenzioso.

Sul tema del rafforzamento della pretesa tributaria, andando esattamente nella direzione da me auspicata in un precedente articolo (si veda “La lotta all’evasione si fa mirando giusto” del 16 aprile 2012), l’Agenzia auspica:
- “la tempestiva conclusione di tutti i procedimenti di mediazione con un atto che assicuri la «giusta imposizione» ed eviti la soccombenza in giudizio”. Ci mancherebbe: un ente pubblico deputato al controllo fiscale che non miri alla giusta imposizione (chissà perché tra virgolette) sarebbe spaventosamente antidemocratico (non molto tempo fa si sarebbe detto “fascista”). Ma vederlo scritto nero su bianco fa molto piacere;
- “in riferimento ai contenziosi non assoggettati al procedimento di mediazione, la valutazione, prima della predisposizione delle controdeduzioni in primo grado, previo esame dei motivi del ricorso, del grado o rating di sostenibilità delle controversie, al fine di verificare, in particolare, l’eventuale esistenza dei presupposti per l’autotutela o la conciliazione giudiziale, totali o parziali;”. Sembra la sintesi del manuale, citato nel mio precedente intervento, che il Fisco inglese ha diramato ai propri funzionari invitandoli proprio a fare tutte le valutazioni possibili, confrontandosi con i colleghi e col contribuente, per evitare contestazioni non sostenibili. L’utilizzo della parola inglese rating insieme a quella italiana di “grado” sembra proprio un lapsus riconducibile alla presa d’atto di tale documentazione;
- “l’esercizio dell’autotutela tutte le volte che ne ricorrono i presupposti, escludendo di resistere indebitamente in giudizio”. Bellissima affermazione. Sembra quasi una presa d’atto che in molte situazioni gli Uffici resistano indebitamente in giudizio. Ma va bene: errare è umano, perseverare sarebbe diabolico;
- “l’applicazione sistematica delle direttive di abbandono”. Fattispecie sistematicamente perse, tali da richiedere l’invio di direttive di abbandono dagli organi centrali a quelli periferici, per quale ragione dovrebbero essere disattese? Giusto ribadire il concetto: le direttive di abbandono sono proprio da rispettare;
- “la valutazione attenta delle probabilità di accoglimento dell’appello o del ricorso per cassazione”. Anche qui siamo nell’ovvietà: qualsiasi parte privata così si comporterebbe per evitare spese inutili; a maggior ragione deve farlo la parte pubblica che, per definizione, ha solo interessi di giustizia e non di gettito.

Vedendo nel suo complesso questo provvedimento, che condivido in pieno, non posso però fare a meno di pormi il seguente interrogativo: come mai un ente pubblico, che nell’immaginario collettivo è composto da gente che “lavora poco”, “è indolente”, “parassita” e “assenteista”, si sente in dovere di calmierare quell’eccesso di impegno che è invece sotteso in quei comportamenti stigmatizzati dalla circolare in commento? In altre parole, da quando un impiegato pubblico dovrebbe essere stimolato a “lavorare di meno”, altrimenti, se lasciato libero, lavorerebbe di più?

Delle due, l’una: o lo Stato preseleziona i suoi dipendenti, riservando all’Agenzia delle Entrate quelli stakanovisti e i più indolenti alle altre istituzioni (se così fosse, posso immaginarmi come verrebbero selezionati quelli destinati all’Agenzia delle Uscite); oppure c’è qualche altro meccanismo nel sistema – probabilmente un incentivo economico mal tarato – che induce i funzionari a comportarsi esattamente in senso opposto a quello che l’imparzialità del ruolo dell’Agenzia richiederebbe, al punto di rendere necessarie tali giustissime direttive.


Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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