L’Agenzia delle Entrate sembra affetta da schizofrenia
Gentile Redazione,
vorrei approfittare del vostro apprezzato quotidiano on line per condividere alcune amare riflessioni scaturite da una questione discussa oggi (il 27 ottobre, ndr) presso un ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
Questi i fatti.
Nel 2010 un cliente ha pagato le spese per un intervento edilizio finalizzato al risparmio energetico mediante bonifici bancari privi di un requisito formale, per cui la banca non ha effettuato la prevista ritenuta d’acconto a carico del beneficiario (novità di quell’anno).
Per questo motivo l’Agenzia ha recuperato la prima rata della detrazione, a suo avviso indebitamente goduta. Il cliente ha perciò proposto ricorso, sostenendo che si trattava di errore squisitamente formale, dato che l’Erario non ha subito alcun danno, e chiedendo l’applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma. Nelle more del giudizio l’Agenzia ha iscritto a ruolo altre due annualità (la detrazione era ripartita in cinque rate di pari importo), entrambe oggetto di ricorsi-fotocopia.
Nel frattempo la C.T. Prov. ha pienamente riconosciuto le ragioni del contribuente, accogliendo il primo ricorso.
Dopo aver letto su Eutekne.info del 29 aprile 2016 (si veda “Gli indirizzi operativi 2016 dell’Agenzia delle Entrate allertano i professionisti”) che l’Agenzia invita gli uffici a cambiare passo (basta con la caccia all’errore e alle formalità, si devono colpire i veri evasori), non mi sarei certo aspettato di ricevere la notifica dell’appello, cosa che invece è avvenuta nei giorni scorsi.
Oggi ho allora chiesto ad un funzionario il perché di tale atteggiamento distonico, e mi è stato risposto che avevano le mani legate da una risoluzione del 2012 e non potevano evitare di impugnare la sentenza.
Per questo penso che l’Agenzia sia affetta da schizofrenia: da un lato nel 2016 la sua direttrice, Rossella Orlandi, dichiara che gli uffici sono pronti a cambiare il modello guardie e ladri, ma poi gli stessi continuano ad andare nella direzione opposta in forza di una risoluzione precedente.
Non condividendo il brocardo “finché pende, rende”, in cuor mio speravo che, almeno a seguito della pronuncia di un giudice, l’Ufficio potesse dare concreta applicazione ai proclami propagandistici dei suoi vertici.
Invece mi accingo amaramente ad affrontare almeno sei giudizi (tre ricorsi già presentati e due in previsione – uno per ciascuna annualità – più un appello) per sperare di veder confermato il diritto di un contribuente a non dover restituire un legittimo beneficio per il solo fatto di aver commesso un banale errore formale.
Tutto questo con quali costi in termini di risorse impiegate dal sottoscritto, dall’Agenzia e dalla giustizia tributaria? Alla faccia del “Fisco amico”.
Enrico Sauro
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona
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