Dobbiamo tornare sulla strada maestra e tutelare gli interessi della professione
Gentile Redazione,
“... porto il mantello a ruota e fo il notaio” scriveva Libero Bovio rendendo don Cesare triste e nostalgico nel ricordo della sua signorinella pallida, ma anche fiero della sua professione che gli aveva consentito, dopo tanto studiare, di sfoggiare quel capo di abbigliamento così ambìto e distintivo.
Con un salto temporale di meno di cent’anni leggiamo oggi che dalla tribuna della “Nuvola romana” sono stati snocciolati numeri da brivido riguardo le economie dei commercialisti italiani e lanciata una benedizione ufficiale a favore dei nostri sindacati schierati in assetto da sciopero.
Dico subito che tra il notaio di Bovio e il commercialista venuto fuori dalla relazione di Miani, mi schiero a favore dell’antica professione, quella per la quale ho studiato tanti anni e mi sono poi costantemente sacrificato e aggiornato per quasi altri quarant’anni.
Ma vorrei anche svolgere un ragionamento, semplice, per come mi riesce.
Partendo da una constatazione, che è questa: la nostra è un’attività economica che mira a dare a chi la esercita il giusto profitto derivante dallo svolgimento di una professione frutto di studi, investimenti e continui aggiornamenti. Su questo, mi pare, si possa tutti convenire.
Nel rapporto sinallagmatico nostra controparte è il committente della prestazione, nella fattispecie più comune si tratta di un contribuente obbligato dall’Erario a una variegata e vasta serie di adempimenti contabili e fiscali ai quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non può far fronte personalmente.
L’onere della prestazione fornita dal commercialista è a carico del cliente e in tale contesto viene naturale immaginare che a ogni adempimento posto dallo Stato a carico del contribuente possa corrispondere una prestazione professionale richiesta al commercialista. Ciò dovrebbe produrre un conseguente incremento del fatturato del commercialista. Inversamente deducendo, se cioè i contribuenti fossero esentati da adempimenti, non ci sarebbe motivo di adire il professionista.
Orbene, lungi dal volermi schierare contro l’iniziativa già intrapresa da tutti i nostri sindacati con la giornata di mobilitazione nazionale, alias primo sciopero nazionale della categoria, o contro le ultime posizioni assunte nella convention romana dei Consigli territoriali, mi chiedo se non abbiamo in qualche modo smarrito la strada maestra, che è quella della tutela degli interessi della professione. Una professione che non mi pare venga chiamata in causa in proprio, ma soltanto per connessione, attraverso l’introduzione di obblighi contabili e fiscali a carico dei contribuenti che oltretutto, paradossalmente, non si sono sognati, neppure attraverso le grandi centrali sindacali di commercianti, artigiani e industriali, di contestare, ad esempio, la normativa introduttiva dei nuovi obblighi IVA.
Personalmente ne deduco che si sono percorse e si stanno percorrendo strade che non ci appartengono. La spasmodica ricerca del confronto con la politica e con il Governo è un errore. Come lo è quella di una proposta collaborativa con le Agenzie fiscali. Quei soggetti non sono i nostri interlocutori (a meno dei rapporti personali in veste di contribuenti) e noi non dobbiamo essere i loro. Il nostro aiuto, se a chi governa interessa, può essere richiesto in qualità di esperti della materia, ma mai di controparte.
Noi non possiamo e non dobbiamo rappresentare i contribuenti. Costoro, d’altro canto, hanno tutti gli strumenti democratici per eventualmente difendersi, in primis quello elettorale, oltre a quelli forniti dalle sigle sindacali di appartenenza.
Noi, come da ordinamento, possiamo e dobbiamo rappresentare e assistere il singolo, non le masse.
Quello a cui dovremmo invece tendere è semmai una riorganizzazione della Categoria attraverso la creazione di nuovi meccanismi che controllino la concorrenza sleale tra colleghi, il mantenimento del decoro degli studi professionali spesso scaduto a mera attività mercantile, la salvaguardia del valore della prestazione anche attraverso l’istituzione di una centrale rischi della clientela, la realizzazione di economie di scala finalmente attraverso la diffusione e la gestione di un unico software.
Sono certo che non siamo in pochi a pensarla così e se non si interverrà adeguatamente, quando altre statistiche e altri studi ci diranno che i numeri ci sono ancora nemici, sarà troppo tardi per rimediare.
Antonio Bevacqua
Consigliere ODCEC Catanzaro
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