Se quell’equo compenso «non s’ha da fare»
Caro Direttore,
la recente normativa che ha previsto l’introduzione del principio di un equo compenso per le prestazioni professionali è molto più importante di quanto a prima vista non appaia.
E bene hanno fatto – onore al merito, quando è giusto – i nostri vertici istituzionali a perorarla e difenderla.
In verità, i problemi restano, purtroppo, sia nella sua applicazione concreta, con l’annosa questione che si riapre in tema di valori di riferimento, nonché in quanti si accorgeranno, sempre in concreto, della sua esistenza.
Per ora non le grandi imprese o le istituzioni finanziarie, spesso controparti in eccesso di posizione dominante; non molti colleghi, ancora troppo spesso “costretti” a subire, per reagire alla crisi e a certe situazioni di concorrenza sleale, condizioni economiche vessatorie da parte dei clienti; non la P.A., con le sue tariffe quasi offensive, finanche in alcuni casi richiedendo (rectius, pretendendo) la gratuità; non certo, da buon ultimo, il Consiglio di Stato, con la recentissima pronuncia sulla legittimità di detta gratuità, sottintendendo che l’onorificenza della carica “prevalga” sul compenso del lavoro svolto; non, infine, l’Autorità Anticorruzione, che – a mio sommesso avviso – dovrebbe, per mero buon senso correlato alla materia di cui si occupa, ergersi contro detta gratuità e quindi a favore dell’agognato equo compenso.
Quasi come nel celebre romanzo di Manzoni, sembra che sia stato sancito che, pur se scritto nella legge, quell’equo compenso “non s’ha da fare”; guai a rivendicarlo e, ancor più, a difenderlo (stando almeno alle inesistenti prese di posizione della politica che lo ha introdotto sul casus belli).
Ed è inutile qui rimarcare le connessioni di detto principio – che, va ricordato ai detrattori del sistema ordinistico, è ben diverso dalle “rendite di posizione” tariffarie che prescindevano dalla qualità soggettiva del lavoro svolto – con il futuro della professione sotto il profilo pensionistico, prima ancora che reddituale nel breve, ponendosi la sua esistenza come fattore di maggior appeal nelle decisioni, sull’intraprendere o meno questo percorso professionale, che faranno oggi gli studenti che saranno domani colleghi commercialisti.
Vero, siamo tutti presi da altro, in questi giorni, tra scadenze incerte, proroghe a mezzo stampa, invii telematici sempre più complicati, scarti anche senza motivazioni, faq assurte a valore legislativo, audizioni che paiono autoassoluzioni, silenzi assordanti e incomprensibili degli accusati in audizioni pubbliche e disattenzione cronica della politica e della stampa nazionale.
Ma, proprio per la gravità contingente del momento, non vorrei che questo principio, come già capitato, purtroppo, per altri nobili auspici, finisse incompreso, indifeso e dimenticato fin da subito anche da noi stessi, salvo poi tornare a lamentarcene in seguito per la probabile sua (colpevole) disapplicazione sistematica, come è già avvenuto per lo Statuto del contribuente.
Dipende da tutti noi, anche, scegliere quali battaglie fare.
Francesco M. Renne
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Varese
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