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CONTABILITÀ

Rendicontazione di sostenibilità obbligatoria per un’élite e facoltativa per la massa

Dal Parlamento europeo taglio sugli obbligati, altre semplificazioni e orientamenti settoriali volontari

/ Andrea FRADEANI

Mercoledì, 26 novembre 2025

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Il Parlamento europeo ha approvato, il 13 novembre, numerosi emendamenti alla proposta di direttiva COM(2025) 81 final, atto che modificherà le regole unionali relative al reporting e alla due diligence sulla sostenibilità.

In relazione alle novità sul primo di tali ambiti – la rendicontazione sui temi ambientali, sociali e di governo – consci che l’iter legislativo è ancora da completare e potrebbe riservare sorprese, a nostro avviso il maggiore intervento è il taglio “draconiano” degli obbligati al sustainability reporting di cui agli artt. 19-bis (individuale) e 29-bis (consolidato) della direttiva 2013/34/Ue: le imprese del par. 1, primo comma, del primo articolo divengono infatti quelle che, alla data di bilancio, superano in media i 1.750 dipendenti e hanno ricavi netti, da vendite e prestazioni, maggiori di 450.000.000 di euro nel corso dell’esercizio; lo stesso sistema di soglie, su base però consolidata, è adottato anche per quelle madre di un gruppo di cui al par. 1, primo comma, del secondo articolo.
Se già la proposta della Commissione europea aveva ridotto, rispetto alle regole introdotte dalla CSRD, il perimetro dei tenuti alla rendicontazione in parola, l’intervento del Parlamento europeo – che, peraltro, amplia pure i casi d’esenzione – viene a imporla solamente a un’élite. Il “clima” politico è sì cambiato, purtroppo non è però mutata l’urgenza di intervenire sulle questioni ESG.

Con riferimento allo spessore del sustainability reporting obbligatorio, gli interventi del Parlamento europeo sono rilevanti e riguardano sia gli artt. 19-bis e 29-bis che, e qui si tratta degli ESRS, l’art. 29-ter. Sui primi due sottolineiamo:
- la riduzione, per entrambi gli articoli, delle informazioni richiedibili alla catena del valore: il limite di quanto specificato nei principi volontari ex art. 29-quater bis vale infatti per un insieme ben più ampio di imprese (quelle che non superano il sistema di soglie prima indicate);
- l’eliminazione, per entrambi gli articoli, della limitazione temporale (primi tre anni d’applicazione delle regole adottate a livello nazionale) per la previsione sull’eventuale indisponibilità di tutte le informazioni che sarebbero necessarie in merito alla catena del valore;
- l’introduzione, riguardante l’art. 29-bis, di un periodo pari a 24 mesi prima che l’impresa madre debba integrare, nella propria rendicontazione ai sensi di tale articolo, le filiazioni di recente acquisizione non soggette a comunicare le informazioni di cui al par. 1, primo comma, di tale articolo.

Sugli interventi riguardanti l’art. 29-ter, che il processo (in corso) di revisione degli ESRS dovrà considerare, segnaliamo:
- al par. 1 l’aggiunta di un terzo comma che prevede orientamenti settoriali volontari, elaborati dalla Commissione europea, adottabili dalle imprese per assisterle nella valutazione della rilevanza (ci si chiede se sia una sorta di “rimedio” all’eliminazione degli ESRS settoriali);
- la riformulazione del primo comma del par. 2 inserendo sia ulteriori “requisiti” per le informazioni comunicate (il loro essere semplici e accessibili nonché il fatto che siano razionalizzate e proporzionate) che quattro “connotati chiave”, solo in parte frutto di previsioni esistenti, di tali standard (il carattere, per quanto possibile, quantitativo; l’evitare la doppia comunicazione/sovrapposizione con altri obblighi normativi; l’evitare un onere sproporzionato pure in termini finanziari; il garantire, al massimo possibile, l’interoperabilità con le regole internazionali sul reporting in parola);
- la riscrittura del par. 4 per considerare le possibili difficoltà nell’acquisire informazioni dagli appartenenti alla catena del valore (specie nei confronti dei non soggetti alla rendicontazione ex artt. 19-bis e 29-bis nonché di quelli di mercati/economie emergenti), per stigmatizzare la proporzionalità e pertinenza delle informazioni su di essa specificate dagli standard nonché il “divieto”, per questi ultimi, di chiedere più informazioni, verso gli appartenenti alla catena in parola che non superano il menzionato sistema di soglie (il testo italiano riporta erroneamente 1.000 dipendenti in media invece dei 1.750), di quelle specificate dai principi volontari.

Fondamentale il ruolo del sustainability reporting non obbligatorio

Chiudiamo su questi ultimi ricordando il ruolo fondamentale, nella nuova strategia unionale sul sustainability reporting, di quello non obbligatorio.
Sintetizziamo gli interventi sull’art. 29-quater bis come segue: lo scopo dei principi volontari diviene pure limitare il richiedibile, ai fini della direttiva, alle imprese diverse dalle indicate nei paragrafi 1 degli artt. 19-bis e 29-bis; si baseranno sulla raccomandazione C(2025) 4984 della Commissione – poi pubblicata in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea come raccomandazione Ue 2025/1710 – e saranno proporzionati in considerazione delle dimensioni delle imprese; le imprese della catena del valore potranno scegliere di comunicare le informazioni sulla sostenibilità scegliendo un modello capace di non imporre ai richiedenti di valutare/mappare le classi dimensionali di tutti i facenti parte la catena del valore; la Commissione europea dovrà riesaminare almeno quadriennalmente, tenendo conto del parere dell’EFRAG, l’atto delegato adottante i principi in parola per considerare gli sviluppi in tema di sustainability reporting.

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