Civetta: «In campo per una visione diversa della professione»
Intervista allo sfidante del Presidente de Nuccio, che parla di Stati generali e campagna elettorale, passando per la riforma del DLgs. 139/2005
Rapporti con la politica, divisioni interne, riforma del DLgs. 139/2005, futuro della professione. La prima uscita ufficiale di Mario Civetta, ex Presidente dell’Ordine di Roma che sfiderà il Presidente in carica Elbano de Nuccio alle prossime elezioni nazionali, non poteva che partire da qui. Perché è proprio su questi temi che i due candidati, e le loro squadre, si giocheranno buona parte delle possibilità di vittoria ed è sempre su questi temi che si sono consumati gli Stati generali della categoria tenutisi appena quattro giorni fa. E allora iniziamo la chiacchierata con Civetta dalla stretta attualità.
Come sono andati gli Stati generali?
“Sono andati bene per tutti. Per il Presidente de Nuccio, che è riuscito a portare la Presidente del Consiglio Meloni, ma anche per noi perché la sua relazione ha mostrato i limiti caratteriali della persona e i limiti di impostazione dell’attuale Consiglio nazionale: un uomo solo al comando. Credo sia stata data la dimostrazione plastica di quella che è la differenza di metodo, di filosofia, di modo di pensare. Io credo nell’inclusività, nel coinvolgimento di tutta la squadra. Sarebbe fuori dalla mia logica fare un «one man show», stare 5 ore sul palco senza permettere a nessun altro Consigliere nazionale di prendere la parola”.
Sta provando a marcare le differenze?
“Io non mi rivedo in questo modo di concepire gli avversari politici come dei nemici, in questo modo muscolare di intendere il rapporto. Non si può dire a chi non la pensa come te “fatevi da parte”. La mia visione di Consiglio nazionale è quella di una cabina di regia aperta, dove le decisioni non calano dall’alto ma nascono dal confronto tra territori, colleghi, esperienze diverse. Ma non mi invento niente. È un modello che in molti Ordini d’Italia si pratica da sempre”.
Al di là dei toni, vede un modello dirigista?
“Un esempio valga per tutti. Il decreto sui balneari (DL 131/2024, ndr) stabilisce che in caso di rilascio di una concessione a un nuovo concessionario, quello precedente deve essere indennizzato sulla base di una perizia rilasciata da un professionista scelto tra cinque nominativi indicati dal Presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti. È possibile che per una concessione a Cesenatico, l’indicazione debba arrivare da Roma e non dall’Ordine locale? Mi pare emblematico di come venga inteso il rapporto tra Ordini e Consiglio nazionale”.
Rimaniamo sugli Stati generali. Converrà che la risposta della politica c’è stata?
“È indubbio, ma una cosa è portare i politici, un’altra è portare i risultati”.
Beh, qualche risultato è arrivato, o no?
“Sicuramente. La modifica dell’art. 2407 c.c., che riconosco essere un traguardo atteso e importante per la categoria, o il tax control framework. Però, se andiamo a vedere le esigenze reali degli iscritti, i rapporti con l’Agenzia delle Entrate piuttosto che con l’INPS, non mi pare si sia fatto molto. Non sto dicendo che si sarebbe dovuto fare le barricate, ma mettersi nelle condizioni di aprire un dialogo corretto e rispettoso per trovare una soluzione. Per gli iscritti è più importante questo o il TCF?”
Pensa che su questi aspetti si sia fatto poco?
“Credo che lo si possa dire, anche sentendo la base. Che ci piaccia o meno, la fiscalità rimane ancora oggi il core business della maggior parte dei commercialisti, e su questo ci si sarebbe dovuti impegnare di più. Non sto dicendo che sarebbe stato semplice cambiare le cose, nessuno ha la bacchetta magica, però il silenzio su questi temi si è avvertito. Come il silenzio sulle tariffe che sono rimaste al 2012. Anche su questo si doveva fare di più”.
In realtà, pare che il progetto di aggiornamento dei parametri sia stato presentato già da tempo, e che giaccia in qualche cassetto del Ministero della Giustizia.
“Io non sono dentro al Consiglio nazionale e quindi non posso saperlo, ma è oggettivo che è stata fatta una scelta di comunicazione, utilizzare la grancassa su determinati temi anziché altri. Mi pare, ad esempio, che alla riforma del 139 sia stata data molta più enfasi”.
Ecco, ci siamo arrivati. La vostra opposizione alla bozza di riforma è solo di metodo o anche di merito?
“Sulla mancata condivisione interna è stato detto molto. Quanto al merito, sulla questione elettorale, al di là del fatto che non si cambia il sistema elettorale a sei mesi dalle elezioni, non siamo d’accordo, perché ancora una volta si toglie centralità agli Ordini”.
Ma se ci fosse un’ipotetica possibilità di espungere dal testo l’art. 25, sosterrebbe la riforma?
“Ci sono tanti altri aspetti che non sono chiari. Elencare in modo così puntuale le competenze può prestare il fianco a delle criticità. Ma penso anche alla formazione o alle specializzazioni, altro tema importante. Lei ha capito come si dovrebbe ottenere la qualifica?”
Probabilmente dal Consiglio nazionale le risponderebbero che la declinazione specifica avverrà con un successivo regolamento attuativo.
“E allora questa fretta a cosa serve? Solo per modificare il regolamento elettorale? Ci sono degli equivoci irrisolti che proprio la fretta non ha permesso di affrontare. Una cosa è raccontare che tutto è bellissimo e un’altra guardare in faccia i problemi e provare a fare un passo in avanti”.
Il Presidente de Nuccio dice che chi enfatizza solo gli aspetti negativi della categoria è un “sabotatore”. Dobbiamo inserirla nell’elenco?
“Non sono un sabotatore, ma bisogna avere i piedi per terra e raccontare la realtà con oggettività. I dati dicono che i redditi reali negli ultimi 15 anni sono diminuiti, e si lavora di più per guadagnare gli stessi soldi di prima. Sicuramente è una professione ancora appassionante, ma cosa ne pensano i giovani? È un fatto che non siano più attratti. Trent’anni fa scegliere la professione era un motivo di vanto, oggi è diverso. Non è colpa del Consiglio nazionale di oggi né di quello di ieri, però chi governa si deve porre il problema. Far ritrovare appeal alla professione passa anche da nuove tariffe, perché un giovane si pone anche il problema delle prospettive economiche, e dal cercare di mettere gli iscritti nelle condizioni di poter lavorare al meglio”.
Una nuova legge ordinamentale potrebbe aiutare in questo senso o l’appeal prescinde dalla riforma?
“In linea di massima potrebbe aiutare, ma dipende dai contenuti e da questo punto di vista non mi pare ci sia qualcosa di rivoluzionario”.
E allora come si spiega il sostegno degli Ordini? Sulle famose 80 lettere se ne sono dette tante, ma che esistano davvero nessuno lo ha messo in dubbio.
“Magari altri Presidenti sono riusciti a vedere degli aspetti positivi che io non sono riuscito a cogliere. Non mi permetto di dare giudizi su chi legittimamente ha deciso di appoggiare la proposta. È possibile che oggi molto sia influenzato dalla battaglia elettorale. Ma visto che ci siamo arrivati, possiamo anche aspettare questi 6 mesi e riparlarne dopo le elezioni”.
E se ci fosse una proroga?
“Le proroghe le abbiamo vissute all’epoca del COVID, oggi non mi pare ci siano i presupposti. Altrimenti chiunque potrebbe decidere di presentare una riforma dell’ordinamento provando a rimanere di più al suo posto. Sinceramente, non credo che questo progetto di riforma sia stato presentato perché si aveva in mente di avere una proroga. Credo si abbia in mente un nuovo rapporto tra Consiglio nazionale e Ordini, che noi non condividiamo”.
Ma se dovesse vincere lei, immaginando che condivida l’idea di fondo di riformare il 139, ripartirebbe da questa bozza?
“Imposteremmo un iter completamente diverso, provando ad avere una condivisione più ampia. Nella bozza ci sono anche alcune cose buone, ma alcuni capisaldi sono contrari alla mia visione: non sono d’accordo con la riduzione del potere degli Ordini locali e, più in generale, non credo a una visione dirigista nella gestione della categoria”.
Che campagna elettorale si aspetta?
“Spero che sia divertente, stimolante e arricchente. E che i toni siano bassi e incentrati sui contenuti. Non è una guerra; è cercare di far capire il progetto, che è chiaramente un progetto diverso perché siamo persone diverse con un’idea differente di come gestire il Consiglio nazionale. Per me, si tratta di avere la responsabilità di un gruppo di persone e cercare di trarne il meglio”.
Si sente l’underdog, l’inseguitore?
“Sinceramente, credo che la partita sia apertissima”.
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