Subordinazione non per forza «stringente» per riqualificare l’agente
Nella riqualificazione come lavoratore dipendente possono essere valutati globalmente anche i criteri complementari e sussidiari
Le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro rappresentano l’elemento più significativo e rilevante per una corretta qualificazione del contratto applicato, sia esso di natura subordinata o autonoma.
In taluni casi, una volta accertate, le predette modalità possono ricondurre il rapporto contrattuale a uno schema diverso da quello prefigurato dal nomen iuris.
In termini generali, se il lavoratore soggiace al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, la prestazione si considera eterodiretta e quindi collocabile nell’alveo del lavoro subordinato.
Tuttavia, nelle situazioni che si pongono al confine tra autonomia e subordinazione (ad esempio, laddove ricorrano peculiari mansioni professionali o intellettuali) l’assoggettamento alla eterodirezione non risulta sempre agevole, rendendo problematica la qualificazione del rapporto di lavoro.
Al ricorrere di tali condizioni, la giurisprudenza ha da tempo fatto riferimento a criteri “sussidiari” (cfr. Cass. n. 8883/2017), come la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale, il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e della forma della retribuzione.
Si tratta di criteri privi ciascuno di valore decisivo in quanto potenzialmente compatibili anche con il lavoro autonomo, ma che, complessivamente, vengono valutati come indizi probatori della subordinazione.
Le problematiche legate alla qualificazione del rapporto di lavoro possono ricorrere anche nell’ambito dei rapporti di agenzia, i quali possono talvolta presentare elementi di prossimità con il lavoro subordinato, pur trattandosi di due fattispecie distinte, stante l’autonomia e l’indipendenza dell’agente e la soggezione del lavoratore al potere direttivo del datore, che costituiscono elementi incompatibili con un differente inquadramento.
In tale ambito, risulta particolarmente interessante quanto stabilito dalla sentenza n. 23343/2024, con cui la Corte di Cassazione ha deciso in merito a un caso che traeva origine da una richiesta di riqualificazione di un rapporto di agenzia da parte di un agente, il quale sosteneva di aver svolto attività alle dipendenze della società in qualità di direttore generale, richiedendo per questo motivo il pagamento di importi a titolo di differenze retributive per l’attività realmente svolta, nonché il riconoscimento della qualifica di quadro.
Al termine dell’iter di merito, i giudici d’appello avevano parzialmente accolto tali richieste evidenziando la mancata sussistenza di un rapporto di agenzia, mentre risultavano evidenti specifiche mansioni riconducibili all’attività di direttore generale e collocabili nell’ambito del lavoro subordinato.
Nel respingere il ricorso della società, la Cassazione ha confermato il valore decisivo da attribuirsi alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, risultando per contro di scarso rilievo il nomen iuris utilizzato dalle parti, così come la prolungata esecuzione del rapporto di collaborazione.
Nell’occasione, la Suprema Corte ha ribadito come “indefettibile” l’elemento del vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, anche non necessariamente “stringente”, come nel caso dei dirigenti, che si collega alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato.
Inoltre, nella pronuncia in commento si precisa che laddove tale elemento non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (sia perché si tratta di mansioni estremamente elementari, ripetitive e predeterminate nelle loro modalità, sia perché, all’opposto, si tratta di mansioni di livello particolarmente elevato perché di natura intellettuale, professionale o creativa) e del relativo atteggiarsi del rapporto, è possibile far riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, della corresponsione periodica di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale.
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