L’azienda concessa in affitto a terzi può evitare l’incompatibilità
Ciò a condizione che l’affitto non sia simulato e che il commercialista si astenga da qualsiasi ingerenza nella gestione dell’attività
Il commercialista che concede in affitto la propria azienda, senza ingerenza nella gestione né partecipazione agli utili dell’attività esercitata dall’affittuario, non riveste più la qualifica soggettiva di imprenditore, in quanto difetta il requisito dell’esercizio effettivo dell’attività economica organizzata ai fini della produzione o scambio di beni o servizi, ai sensi dell’art. 2082 c.c.
Il CNDCEC ha fornito il chiarimento con il Pronto Ordini n. 80/2025, spiegando che la sola titolarità giuridica dell’azienda non appare sufficiente a integrare una causa di incompatibilità, se l’iscritto si astiene da attività gestionali o decisionali e mantiene un ruolo meramente passivo rispetto all’attività d’impresa.
Nel quesito giunto al Consiglio nazionale si è chiesto se l’avvio, da parte di un dottore commercialista, di un’attività commerciale in qualità di titolare diretto (ad esempio, un esercizio di vendita al dettaglio e/o un’attività di somministrazione di alimenti e bevande), poi concessa in affitto a terzi (unica azienda detenuta) a pochi giorni dall’avvio, può configurarsi come situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione, considerato che in tal modo verrebbe meno, di fatto, la qualificazione soggettiva di imprenditore commerciale.
Prima di tutto il CNDCEC ricorda che, in base a quanto disposto dall’art. 4 comma 1 lett. a) del DLgs. 139/2005, l’esercizio della professione di dottore commercialista e di esperto contabile è incompatibile con l’esercizio, anche non prevalente né abituale, dell’attività di impresa in nome proprio o altrui e per proprio conto. Il comma 2 dello stesso articolo stabilisce che l’incompatibilità è esclusa se l’attività, svolta per conto proprio, è diretta alla gestione patrimoniale o ad attività di mero godimento o conservative.
L’obiettivo della norma è preservare l’indipendenza, l’autonomia e l’imparzialità del professionista, evitando che l’esercizio di attività imprenditoriali – per loro natura soggette a logiche di profitto e concorrenza – possa compromettere l’obiettività nell’esercizio della funzione professionale.
Il Consiglio nazionale osserva che nel caso esaminato l’iscritto, pur avendo inizialmente assunto la veste di imprenditore commerciale, ha successivamente e tempestivamente stipulato un contratto di affitto d’azienda, trasferendo a terzi il godimento del complesso aziendale e rinunciando, di fatto, alla gestione diretta dell’attività d’impresa. L’affitto d’azienda configura un contratto con effetti obbligatori e di natura continuativa, con cui il locatore (in questo caso, il professionista) si spoglia dell’esercizio dell’attività imprenditoriale in favore dell’affittuario, il quale assume in via esclusiva la conduzione dell’impresa.
In una situazione di questo tipo, per il CNDCEC non sembra configurarsi alcuna causa di incompatibilità, a condizione che:
- l’affitto d’azienda sia effettivo e non simulato;
- il professionista si astenga da qualsiasi ingerenza nella gestione dell’azienda affidata a terzi.
Questa conclusione è coerente con l’interpretazione sistematica del disposto normativo e con le Note interpretative CNDCEC, che escludono l’incompatibilità qualora l’impresa sia diretta alla gestione patrimoniale immobiliare e mobiliare di mero godimento o conservativa e, pur ribadendo l’incompatibilità con l’attività di impresa commerciale, impongono di valutare la concreta sussistenza di un effettivo esercizio dell’attività imprenditoriale e non la mera titolarità formale dell’azienda.
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