Se l’azienda esercita più attività si applica il CCNL coerente con ciascun settore
I dipendenti della stessa azienda che svolgano la stessa attività vanno inquadrati con lo stesso contratto collettivo nazionale
Con l’ordinanza n. 27719 di ieri, la Cassazione ha affermato un importante principio di diritto in materia di applicazione dei contratti collettivi da parte del datore di lavoro che svolga diverse attività. Con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno infatti escluso che i lavoratori, dipendenti della stessa azienda e che svolgono la stessa attività, possano essere inquadrati con CCNL diversi.
Nel caso di specie, il datore di lavoro era iscritto alle associazioni stipulanti più contratti collettivi di categoria (vale a dire il CCNL Federambiente, per le attività di igiene urbana, e il CCNL Gas-Acqua, per le attività legate al settore gas-acqua). Lo stesso datore aveva applicato ad alcuni lavoratori addetti al settore dell’igiene urbana il CCNL coerente con tale attività, quindi il Federambiente, e ad altri lavoratori – addetti allo stesso settore e che svolgevano le stesse mansioni – il CCNL Gas-Acqua, quindi un contratto collettivo relativo a un diverso settore di attività in cui la stessa impresa operava e relativo, quindi, a mansioni differenti.
Tali lavoratori avevano pertanto rivendicato il diritto all’applicazione del CCNL Federambiente, applicato ad altri colleghi preposti alle loro stesse mansioni.
I giudici di legittimità, investiti della vicenda, si sono concentrati sulla possibilità, da parte del datore di lavoro che svolga più attività e che risulti iscritto a più organizzazioni di categoria che hanno rispettivamente sottoscritto contratti collettivi diversi per le diverse attività, di applicare a sua discrezione ai lavoratori (anche se non iscritti ad alcuna associazione sindacale) e prescindendo dalle mansioni effettivamente demandate, CCNL diversi.
Pronunciandosi in senso difforme dai giudici di secondo grado, la Suprema Corte ha richiamato quanto già chiarito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 2665/97, affermando che nel sistema contrattuale privatistico viene attribuita efficacia vincolante, sotto il profilo della efficacia soggettiva del contratto collettivo, all’autonomia negoziale, che può essere esercitata sia attraverso l’iscrizione a un sindacato o a un’associazione imprenditoriale, sia in base a un comportamento concludente. Come affermato dalla stessa Cassazione, infatti, la reiterata e costante applicazione in via di fatto di un determinato contratto collettivo – all’interno della medesima azienda e nei confronti della generalità dei lavoratori dipendenti che svolgano una stessa attività – configura un comportamento concludente con valore negoziale, da cui deriva l’obbligo di applicare tale CCNL anche ai nuovi assunti che ne abbiano richiesto l’applicazione (cfr. Cass. n. 7203/2024).
Tuttavia, nel caso specifico in cui, come nella fattispecie in esame, il datore di lavoro svolga diverse attività economiche e risulti iscritto alle associazioni datoriali stipulanti i rispettivi contratti collettivi, lo stesso, nella propria azienda, deve applicare ai lavoratori il contratto collettivo coerente con ciascun settore di attività.
Si afferma, in senso conforme alle citate Sezioni Unite, che il primo comma dell’art. 2070 c.c., secondo cui “l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore”, conserva una residua operatività per i contratti collettivi di cui alla L. 741/59 e per quelli a cui atti aventi forza di legge operino un rinvio ricettizio, nonché per le ipotesi in cui l’imprenditore svolga diverse attività economiche, sia iscritto alle rispettive associazioni sindacali e occorra individuare il contratto collettivo applicabile al personale addetto alle singole attività.
Da evidenziare che la Cassazione ha precisato che l’affermazione dei giudici dell’appello, secondo cui i CCNL applicati dall’azienda avrebbero comportato un trattamento retributivo adeguato e sufficiente, non è in linea con il principio sancito dalla Costituzione all’art. 36, secondo cui il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. L’applicazione di un contratto collettivo previsto per una categoria diversa comporta infatti una contraddizione sotto il profilo della quantità e della qualità del lavoro prestato.
Infine, per quanto concerne il diritto alla parità di trattamento, nell’ordinanza si chiarisce che nel caso di specie il richiamo operato dalla Corte d’Appello all’inesistenza in via di principio di tale diritto deve considerarsi fuori luogo, ciò in quanto non si verteva né sull’autonomia collettiva esercitata dalle parti collettive, né sul riconoscimento di un trattamento individuale vantaggioso per effetto della comparazione con colleghi più favoriti.
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