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Crediti da restituzione accertati con sentenza impugnabile nel passivo con riserva

L’accoglimento dell’impugnazione può ribaltare le sorti del giudizio

/ Antonio NICOTRA

Giovedì, 27 novembre 2025

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La Cassazione, con ordinanza n. 30911 del 25 novembre 2025, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, in tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, l’art. 96 comma 2 n. 3 del RD 267/42 dev’essere interpretato in modo da ricomprendere sia i crediti vantati nei confronti del debitore, poi fallito, ed oggetto di accertamento negativo con sentenza anteriore alla dichiarazione di fallimento ma in quel momento non ancora passata in giudicato, sia il credito che la parte in bonis vanta nei confronti del fallito per la restituzione di quanto a lui versato in esecuzione di tale sentenza, per l’ipotesi in cui, in accoglimento dell’impugnazione proposta o proseguita nei confronti del curatore del fallimento, la sentenza venga, in tutto o in parte, caducata.

In base all’art. 96 comma 2 n. 3 del RD 267/42, nel caso in cui il credito azionato con la domanda di ammissione al passivo risulti, anche solo in parte, “accertato” con sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento, ma non ancora passata in giudicato, il giudice delegato lo ammette al passivo della procedura con riserva, che viene sciolta all’esito della scadenza del termine per l’impugnazione, ovvero con il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il relativo giudizio.

Tale presupposto costituisce un’eccezione alla regola dell’esclusività del giudizio di verificazione, in quanto l’accertamento (dell’an ovvero del quantum) del credito è rimesso al giudizio di impugnazione della sentenza ed al relativo rito.

L’ammissione con riserva, infatti, presuppone che il curatore contesti l’esistenza del credito, ovvero la sua quantificazione, proponendo l’impugnazione avverso la sentenza o proseguendola se già proposta dal fallito.
La norma trova applicazione, secondo la giurisprudenza, non solo nel caso in cui il giudice (ordinario o speciale) ne abbia accertato l’esistenza (all’esito di un’azione di condanna del debitore poi fallito oppure di accertamento meramente negativo; cfr. Cass. n. 17154/2024), ma anche quando ne abbia accertato l’inesistenza, in tutto o in parte.

Sebbene dettata per l’ipotesi di pieno accoglimento della domanda proposta dal creditore, tale disposizione dev’essere interpretata, secondo i giudici, in coerenza con il principio della ragionevole durata del processo ed in modo da includervi l’ipotesi del rigetto (anche solo parziale) della domanda con sentenza non ancora passata in giudicato (Cass. nn. 2949/2021, 11741/2021 e 10616/2025).

In tali ipotesi, il creditore, al fine di evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della sentenza, deve proporre l’impugnazione, in via ordinaria, nei confronti del fallimento. La sentenza di accertamento del credito, eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado, in tale ipotesi, ha efficacia nei confronti della procedura (Cass. n. 10616/2025).

Per la Suprema Corte, nel caso in cui sia stata pronunciata, prima della dichiarazione di fallimento, una sentenza che accerti l’esistenza (o l’inesistenza), anche solo in parte, di un credito azionato nei confronti del soggetto, poi fallito, e tale sentenza sia stata impugnata dall’una o dall’altra parte, il credito, ove insinuato al passivo, è ammesso con riserva del giudizio d’impugnazione, che (a seconda dei casi) è proseguito dal curatore o nei suoi confronti.
La sentenza resa all’esito di tale giudizio, nella parte accerta l’an o il quantum del credito, esplica i suoi effetti nei confronti del fallimento sia nel caso in cui, rigettando l’impugnazione, confermi la sentenza pronunciata prima del fallimento, sia al contrario ove, accogliendola, l’abbia in tutto o in parte riformata.
Al riguardo, l’art. 113-bis del RD 267/42 prevede che, al verificarsi dell’evento che ha determinato l’accoglimento di una domanda con ammissione riservata (come il passaggio in giudicato della sentenza extra fallimentare che ha accertato in via definitiva la sussistenza del credito e la relativa misura), il giudice delegato, su istanza del curatore o della parte interessata, modifica lo stato passivo, con apposito decreto (e, quindi, senza necessità di opposizione a norma dell’art. 98 del RD 267/42), disponendo la definitiva ammissione del credito (e dell’eventuale privilegio).
Diversamente, se l’evento dedotto in condizione non si verifica ed è certo che non potrà verificarsi (come con il passaggio in giudicato della sentenza extra fallimentare che ha escluso in via definitiva il credito), il giudice procede alla definitiva esclusione dallo stato passivo, svincolando le somme accantonate (art. 113 comma 1 n. 1 del RD 267/42) per altre ripartizioni.

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