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ECONOMIA & SOCIETÀ

Limiti alle indagini della banca sui creditori

La Suprema Corte ha esaminato un caso di confisca di prevenzione; la buona fede è collegata a diligenza e ragionevolezza

/ Maria Francesca ARTUSI

Giovedì, 27 novembre 2025

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Non è possibile trarre automaticamente dalla situazione di crisi di un’azienda, o dalla manifestazione di un passivo della società richiedente un mutuo, l’inopportunità di concedere il credito da parte di una banca o di determinarlo in una misura piuttosto che in un’altra. Né, su tali basi, è possibile dedurre la mala fede dell’istituto bancario che emetta un finanziamento.
Questo è quanto precisa la sentenza n. 38317 depositata ieri dalla Corte di Cassazione, in un procedimento in cui si discuteva della tutela dei crediti di una banca nei confronti di un’impresa oggetto di una misura di prevenzione reale (DLgs. 159/2011).

In particolare, era stata ordinata la confisca dell’intero complesso aziendale di due spa, riconoscendo la pericolosità sociale generica, ai sensi dell’art. 1 lett. b) del DLgs. 159/2011 nei confronti del loro legale rappresentante, che era accusato di aver vissuto abitualmente del profitto del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, finalizzata a ottenere i finanziamenti previsti nell’ambito del POR Sicilia 2000/2006, per la costruzione di un complesso turistico-alberghiero.
Tra i ricorrenti per Cassazione vi era anche la banca che aveva concesso dei finanziamenti e che, asserendo la propria buona fede, chiedeva di essere inclusa tra i creditori ammessi al passivo.

In proposito, rileva quanto sancito dall’attuale art. 52 del DLgs. 159/2011, ove esclude ogni pregiudizio dei diritti di credito dei terzi preesistenti al sequestro, a meno che non risulti accertata, con analitica e puntuale dimostrazione da parte del giudice, la strumentalità del credito da insinuare al passivo rispetto all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, requisito di chiara natura oggettiva.

Non si può immaginare – prosegue la sentenza – un sistema economico complesso come quello attuale che si orienti nel senso che le banche possano concedere crediti solo a chi non ha passività al momento della richiesta, poiché altrimenti sarebbero minate le stesse strutture finanziarie essenziali e la tutela costituzionale dell’attività di impresa, inscritta nell’art. 41 Cost.

La valutazione della pericolosità di chi è oggetto di una misura di prevenzione deve essere condotta ex ante e non ex post, seguendo i criteri economici ordinari, tipici degli istituti di credito e delle loro logiche, secondo le quali il finanziamento degli enti rappresenta il core business, cui si attende secondo criteri di rischio calcolato e sistematico. Logiche che, nel caso di specie, erano rappresentate dalla prospettazione di un investimento immobiliare (un complesso turistico alberghiero oggetto di mutuo ipotecario) ritenuto molto redditizio, senza ulteriori indicazioni concrete.

Si tratta di un mutamento di prospettiva: non è solo il terzo creditore, e in particolare l’istituto bancario che abbia concesso il mutuo, a dover fornire prova della sua buona fede, adducendo l’esistenza di un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto, ai fini dell’ammissione al passivo. Piuttosto, per escludere l’inserimento nello stato passivo dell’istituto di credito mutuante, è necessaria la prova positiva della sussistenza di indicatori concreti tali da far ritenere che il terzo creditore abbia avuto consapevole percezione della pericolosità del debitore e ciononostante abbia stipulato il contratto di mutuo.

Al creditore è richiesto, dunque, un livello medio di diligenza (cfr. Cass. n. 7240/2023) poiché non può essere attribuito all’istituto di credito – che non dispone delle banche dati proprie della autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria – il compito di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali a carico del soggetto potenziale beneficiario del finanziamento. Né, peraltro, il semplice dato di una condanna penale per un qualunque reato – o magari della assai risalente applicazione di una precedente misura di prevenzione – può essere, di per sé, ostativo alla concessione del credito, venendo altrimenti minata la funzione economico-sociale dell’attività bancaria nel settore del credito, essendo la ratio della normativa esclusivamente quella di evitare un uso distorto del credito bancario, piegato ai fini elusivi della criminalità.

Viene, in definitiva, affermato che, in tema di confisca di prevenzione, per escludere l’inserimento nello stato passivo dell’istituto di credito mutuante, è necessaria la prova positiva della sussistenza di indicatori concreti tali da far ritenere, secondo parametri di ordinaria diligenza, l’effettiva irragionevolezza del rischio assunto concedendo il credito nel caso concreto e che il terzo creditore abbia avuto consapevole percezione della pericolosità del debitore e ciononostante abbia stipulato il contratto di mutuo.

Peraltro, la Cassazione afferma che il presupposto della buona fede, necessario all’ammissione del credito del terzo interveniente titolare del relativo diritto, introdotto nella forma attuale dall’art. 52 del DLgs. 159/2011 come modificato dalla L. 161/2017, è applicabile anche ai crediti sorti precedentemente all’entrata in vigore di tale disciplina normativa e nella vigenza della L. 575/1965.

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