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Giovedì, 27 novembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Nullo il licenziamento per causa di matrimonio delle sole donne

/ Giada GIANOLA

Giovedì, 27 novembre 2025

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Con l’eccezione di alcune limitate ipotesi, tassativamente individuate dal legislatore, il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa si presume sia stato disposto per causa di matrimonio, ed è quindi nullo (art. 35 del DLgs. 198/2006, c.d. “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”).
Sono inoltre nulle le clausole di qualsiasi genere apposte nei contratti, individuali e collettivi, o in regolamenti che prevedano la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio, così come i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.

Qualora il licenziamento sia stato intimato nell’indicato periodo, la nullità è esclusa se il datore di lavoro riesce a dimostrare la sussistenza di una colpa grave in capo alla lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro. Lo stesso vale in caso di prova della cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta – a tal fine non basta la cessazione di solo un reparto aziendale, per quanto autonomo (cfr. Cass. n. 10286/2024) – o l’ultimazione della prestazione per la quale la stessa è stata assunta o, ancora, la risoluzione del rapporto per scadenza del termine.

La predetta tutela, come ricordato dal Tribunale di Milano (cfr. Trib. Milano nn. 1689/2016 e 693/2020), è fondata sull’elemento obiettivo della celebrazione del matrimonio, e non è quindi subordinata all’adempimento di nessun obbligo di comunicazione da parte della lavoratrice. È stato inoltre chiarito che l’indicata presunzione di collegamento fra licenziamento e matrimonio (che è relativa essendo ammessa, come sopra precisato, la prova contraria) opera anche in presenza di un licenziamento collettivo (cfr. Cass. n. 10286/2024).

La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in relazione alla limitazione della tutela in favore delle sole lavoratrici donne, dato che la norma di legge fa espresso riferimento esclusivamente a queste ultime.

Vi sono state pronunce di merito che hanno affermato che la tutela prevista in caso di licenziamento per causa di matrimonio non è limitata alle sole donne, ma si estende anche ai lavoratori uomini (cfr. Trib. Milano 3 giugno 2014; Trib. Vicenza 24 maggio 2016).
Fondamentalmente, per tali pronunce, la ratio posta alla base del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna è quella di favorire il principio di parità di trattamento tra uomini e donne introdotto dalla direttiva Ce 76/207, dimodoché l’art. 35 dovrebbe interpretarsi alla luce dello stesso. La nullità del licenziamento per causa di matrimonio, quindi, costituirebbe il deterrente rispetto alle discriminazioni fondate sulla scelta di sposarsi e di formare una famiglia, che riguarda anche i lavoratori di sesso maschile e non solamente le donne.

In tale contesto è, tuttavia, intervenuta la Corte di Cassazione: i giudici di legittimità hanno affermato che, invece, la tutela della nullità del licenziamento per causa di matrimonio è da considerarsi riservata alle sole lavoratrici donne. Alla base di tale limitazione vi sarebbe la circostanza per cui sono le donne a dover sostenere maggiormente gli oneri legati alla creazione di una famiglia e, quindi, alla genitorialità, cosicché tale limitazione non comporterebbe alcuna discriminazione nei confronti dei lavoratori uomini (cfr. Cass. nn. 15515/2019 e 31824/2018).

Per la Suprema Corte si tratta dunque di una disciplina a sostegno delle lavoratrici che, seppur titolari degli stessi diritti dei lavoratori di sesso maschile, adempiono a un’essenziale funzione familiare, soprattutto nel periodo della gravidanza e del puerperio (cfr. Cass. nn. 31824/2018 e 28926/2018).

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