Domanda di liquidazione giudiziale «in proprio» della società di capitali senza notaio
La Cassazione sottolinea come tale condizione valga solo per gli strumenti di regolazione della crisi
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 30903/2025, ha stabilito che la decisione degli amministratori di una società di capitali di accedere alla procedura di liquidazione giudiziale non è assoggettata alla disciplina dell’art. 120-bis del DLgs. 14/2019 (c.d. Codice della crisi) e, pertanto, non deve risultare da verbale redatto da notaio, essere depositata e iscritta nel Registro delle imprese e neppure, una volta assunta, essere comunicata ai soci della società debitrice, essendo necessario e sufficiente che la stessa, che è e resta di esclusiva competenza degli amministratori, sia sottoscritta da chi ne abbia la rappresentanza.
Infatti, il tenore letterale delle disposizioni dell’art. 40 del DLgs. 14/2019 – compresi i riferimenti previsti dal richiamato art. 120-bis comma 1 del DLgs. 14/2019 (in tema di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza) al “contenuto della proposta” e alle “condizioni del piano” – così come la distinzione tra procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale (di cui agli artt. 41 e 49 del DLgs. 14/2019) e procedimento per l’apertura di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (di cui agli artt. 44 e ss. del DLgs. 14/2019), inducono i giudici di legittimità a ritenere che le condizioni sopra elencate si applichino solo alla domanda con la quale la società debitrice richieda di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (artt. 56 e ss. del DLgs. 14/2019, che compongono il titolo IV del DLgs. 14/2019, di cui fa parte anche il capo III-bis, formato dagli artt. 120-bis e ss. del DLgs. 14/2019) e non anche alla domanda di apertura della (differente) procedura della liquidazione giudiziale (disciplinata dal titolo V del DLgs. 14/2019).
D’altra parte – sottolinea la decisione in commento – non si ravvisano ragioni per le quali la domanda di apertura della liquidazione giudiziale (anch’essa decisa in via esclusiva dagli amministratori) debba necessariamente, da un lato, rivestire la forma del verbale notarile, in mancanza della necessità, che invece caratterizza la domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, tanto del riferimento al “contenuto della proposta”, quanto dell’illustrazione delle “condizioni del piano”, e, dall’altro, essere depositata e iscritta nel Registro delle imprese ai fini della sua opponibilità ai terzi, in assenza di effetti giuridici direttamente collegati alla sua pubblicazione nel Registro delle imprese (essendo, dunque, sufficiente, come pubblicità notizia, l’iscrizione disposta dal cancelliere quando la domanda sia stata depositata).
E neppure risulta indispensabile che la decisione degli amministratori di presentare tale domanda sia trasmessa ai soci, né che gli stessi siano informati periodicamente dagli amministratori del suo svolgimento.
I soci della società di capitali assoggettata alla liquidazione giudiziale, infatti, restano estranei, sul piano giuridico, alla relativa procedura, nonché agli atti in cui la stessa si articola e ai relativi effetti.
Essi sono portatori – sia prima dell’apertura della procedura, che, a maggior ragione, successivamente ad essa – di un mero interesse di fatto alla conservazione della consistenza del patrimonio sociale (la cui tutela spetta esclusivamente alla società e, dunque, prima della procedura, agli amministratori e, dopo, al suo curatore) e solo di riflesso subiscono le conseguenze degli atti di liquidazione del patrimonio sociale.
A giudizio della Suprema Corte, inoltre, la domanda di apertura della liquidazione giudiziale potrebbe essere qualificata come abusiva nei confronti dei soci, ma ciò solo a condizione che emerga, in fatto, che:
- sussistevano con certezza i presupposti per l’ammissione della (società) debitrice ad una procedura di regolazione della sua insolvenza diversa dalla liquidazione giudiziale;
- l’amministratore aveva presentato la domanda di liquidazione giudiziale ai danni della società omettendo dolosamente qualsiasi valutazione in ordine ai predetti presupposti;
- la partecipazione sociale del socio, in esito all’ammissione della società ad una di queste diverse procedure, avrebbe senz’altro conservato, in tutto o in parte, un valore patrimoniale.
Resta ferma, in ogni caso, la legittimazione del socio, a fronte di un suo interesse attuale e diretto, ad impugnare la sentenza che dichiara l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società; deducendo, ad esempio, che la domanda sia stata proposta nonostante la società versasse in stato di mera crisi e non di insolvenza irreversibile.
Anzi, in tale ipotesi, così come nel caso di negligente esclusione dell’esistenza delle condizioni per accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza diverso dalla liquidazione giudiziale, i soci potrebbero anche intraprendere le iniziative riservate loro dalle norme societarie a carattere generale. Si pensi, tra le altre, all’azione di risarcimento danni ex art. 2395 c.c. oppure alla revoca degli amministratori per giusta causa, ex art. 2383 c.c., o per gravi irregolarità, ex art. 2409 c.c., in funzione, eventualmente, di una rinuncia alla domanda di liquidazione presentata dai “revocati”.
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