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Difficile superare la continuità formale del bilancio

Il Tribunale di Napoli attribuisce rilevanza anche al precedente voto favorevole del socio

/ Maurizio MEOLI

Martedì, 9 dicembre 2025

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Il Tribunale di Napoli, nella sentenza n. 6448/2025, interviene sul principio di continuità formale dei bilanci (o, più correttamente, secondo il principio contabile OIC 11, sul postulato della comparabilità nel tempo dei bilanci) – che comporta il divieto di adozione di metodi di rilevazione diversi da quelli adottati in passato senza darne adeguato conto – precisando come non possa rendere inoppugnabile una determinata voce poco chiara o imprecisa, ma, nel pretendere lo “smarcarsi” dal suo rispetto, il socio impugnante deve fornire la prova rigorosa in ordine alla non veridicità della posta oggetto di impugnativa.

Nel caso di specie, il socio impugnante, avendo approvato il precedente bilancio in cui già figurava la voce contestata (e qualificata come “finanziamento soci”), avrebbe dovuto ammettere l’errore in cui sarebbe incorso e fornire in giudizio elementi di prova inequivoci volti a dimostrare che tale voce di debito fosse non correttamente appostata in bilancio, perché attinente, come avrebbe preteso, ad un suo credito per la vendita di alcuni beni alla società.

Per giungere a tali conclusioni, i giudici ricordano, in primo luogo, come, nel contesto della disciplina dell’invalidità delle delibere assembleari, il legislatore abbia tipizzato due ipotesi:
- una generale (l’annullabilità ex art. 2377 comma 2 c.c.), qualora la delibera non sia stata presa in conformità della legge e/o dello statuto;
- l’altra eccezionale (la nullità ex art. 2379 c.c.), in presenza di delibere adottate in mancanza di convocazione dell’assemblea, in assenza del verbale o affette da impossibilità o illiceità dell’oggetto e sempreché l’impugnativa sia presentata “da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito”.

Il codice civile non fa riferimento alla categoria della inesistenza della delibera assembleare che, in passato, aveva generato non poche incertezze.
Sebbene lo spazio per tale categoria sia stato “marginalizzato” dalla riforma del diritto societario – che, alla luce dell’abuso che ne ha fatto la giurisprudenza, ha lavorato sulla tassativizzazione dei vizi delle delibere sociali – continuano a ravvisarsi casi di inesistenza quando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l’atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare (cfr. Cass. n. 26199/2021 e Cass. n. 7693/2006).
Ad ogni modo, tra le ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto si colloca anche l’approvazione di un bilancio redatto in violazione dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza.

La legittimazione ad impugnare la delibera che approva il bilancio d’esercizio non è direttamente correlata ad un’aspettativa del socio ad ottenere una quota degli eventuali utili o, comunque, un immediato vantaggio patrimoniale, ma trova fondamento nel fatto stesso che la scarsa chiarezza o la mancanza di veridicità del bilancio non gli consentono di avere tutte le informazioni su elementi suscettibili di incidere sul valore della propria quota di partecipazione, così impedendogli di compiere scelte puntuali in ordine alla gestione della quota stessa.

Neppure è possibile impugnare una delibera di approvazione del bilancio adducendo esclusivamente eventuali illeciti gestori compiuti dagli amministratori, laddove non siano corredati da specifiche allegazioni in ordine ad una non corretta rappresentazione in bilancio.
Il bilancio è, invece, nullo quando venga alterata in modo sostanziale la reale situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società.

Di conseguenza, da un lato, non rilevano eventuali irregolarità di scarsa importanza, omissioni o raggruppamenti di poste aventi trascurabile valore economico e che non influenzano apprezzabilmente la rappresentazione della situazione societaria, e, dall’altro, la parte che impugna ha l’onere di indicare esattamente le singole poste iscritte in bilancio assunte in violazione delle norme vigenti, nonché di enunciare specificamente in che cosa consistano i lamentati vizi.

La destinazione del bilancio anche a terzi, inoltre, rende irrilevante il fatto che il medesimo metodo di redazione del bilancio denunciato come contrario ai principi di chiarezza, veridicità e correttezza sia stato adottato in passato con l’acquiescenza, con il consenso o anche su iniziativa del socio che poi ha impugnato il bilancio. Né è possibile invocare il principio di continuità formale dei bilanci per avallare il protrarsi nel tempo dell’adozione di metodi di redazione poco chiari o imprecisi (cfr. Cass. n. 4874/2006 e Trib. Firenze 31 ottobre 2023).

Pertanto, se è vero che il principio di continuità formale dei bilanci deve poter garantire una certa coerenza nella loro redazione, evitando di modificare criteri di valutazione delle poste (o classificazioni) tra un esercizio ed un altro, è altrettanto vero che ciò non legittima l’utilizzo di metodi di rilevazione equivoci o non corretti, dai quali occorre allontanarsi giustificando il tutto, non nella “relazione degli amministratori”, come dice la sentenza, ma nella Nota integrativa.

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