Calì: «Lascio un Ordine unito e inclusivo»
Il Presidente dell’ODCEC di Roma, che non si ripresenterà alle prossime elezioni di categoria, fa un bilancio della sua esperienza politica
Un mandato da Consigliere, uno da Segretario, uno da Presidente e, nel mezzo, la guida della Fondazione Telos, il Centro studi dell’Ordine di Roma che si occupa di ricerca e formazione: “Dopo quattro mandati nessuno potrà accusarmi di volermi disimpegnare”, commenta Giovanni Battista Calì, numero uno dei commercialisti capitolini, spiegando perché, pur avendone l’opportunità, ha deciso di non ripresentarsi alle elezioni in programma il 15 e il 16 gennaio 2026. “Quattro anni fa – aggiunge – dissi che non mi sarei ricandidato a prescindere dall’esito delle elezioni e oggi mi sembrerebbe poco serio rimangiarmi quell’impegno. D’altra parte, se ci mettiamo anche rinvii, proroghe e commissariamenti, arriviamo a più di 18 anni all’interno dell’Ordine. Credo di aver fatto il mio”.
Ecco, Presidente Calì, a proposito di proroghe, considerando il ricorso sul regolamento elettorale pendente dinanzi al TAR, esclude che possa essercene un’altra?
“Non sono un giurista e quindi non sono nelle condizioni di fare pronostici, ma personalmente spero proprio di no e che si vada a votare nelle date stabilite. Spero addirittura che i ricorsi possano essere ritirati ma, se non fosse così, sarebbe bello se si riuscisse a decidere nel merito prima delle tornate elettorali”.
Accantoniamo la possibilità che il ricorso venga accolto e che ci sia un proroga dei mandati e proviamo a fare un bilancio della sua esperienza. Cosa si porterà dietro?
“Premesso che uscire dal Consiglio non significa abbandonare la partecipazione attiva alla vita di categoria, mi porterò un ricordo molto bello, legato soprattutto alla grande partecipazione e all’affiatamento interno all’Ordine. Tutte le attività che abbiamo portato avanti hanno visto il coinvolgimento attivo di circa un migliaio di persone, e sono tante. C’è un movimento sul territorio ed è stato gratificante averlo potuto gestire. Credo che il termine «inclusività» descriva bene la politica che abbiamo portato avanti in questi anni”.
Inclusività che si è sostanziata anche in iniziative itineranti su tutto il territorio della Capitale. L’obiettivo era quello di allargare i “confini” dell’Ordine e dimostrare più vicinanza alla base?
“La finalità era proprio quella. Abbiamo diviso in quartieri la Città e siamo andati ovunque. Devo dire che è stato un grande successo, perché i colleghi sono venuti. La gente ha voglia di incontrarsi e scambiare idee, non necessariamente su tematiche tecniche. Anche iniziative come le visite guidate o i tornei di padel sono state molto partecipate e questo restituisce un senso di comunità”.
Un senso di appartenenza a cui fa da contraltare la sempre maggiore “distanza” dei giovani.
“Il tema dei giovani è complesso. Ci sono variabili endogene ma anche tante variabili esogene, che però dobbiamo provare a capire. Intanto, non è una questione di commercialisti, tante altre categorie sono nella stessa situazione, se non peggio. C’è il fattore demografico, che però non spiega tutto. C’é, ad esempio, anche una mentalità diversa da parte delle giovani generazioni. Quando io ho cominciato a lavorare, lo stacanovismo, stare 12 ore in studio, era considerato un valore. Oggi non è più così, e forse è anche giusto. Il tema della conciliazione vita-lavoro è fondamentale ed è indubbio che, nella nostra realtà professionale, il rapporto sia sbilanciato. Per i giovani questo non è più accettabile”.
A tutto ciò, si aggiunge il fattore economico, con prospettive di guadagno non certamente immediate. Negli ultimi anni, però, si è cominciato quantomeno a sdoganare il tema del tirocinio retribuito, che era una sorta di tabù. È già un inizio, no?
“Se un neo-laureato in economia va a lavorare in banca, ha solo nozioni teoriche e comunque non è in grado, da subito, di essere produttivo, eppure lo stipendio glielo danno lo stesso. Perché nella professione di commercialista dovrebbe essere diverso? A valle di questo convincimento, l’Ordine di Roma ha pensato di fare uno studio, da cui abbiamo prodotto un benchmark, che andrà aggiornato ogni anno (la seconda edizione uscirà proprio questa settimana, ndr). Chiaramente non è nulla di vincolante, ma volevamo dare un messaggio chiaro: i collaboratori vanno pagati”.
Favorire la presenza dei giovani negli organismi di rappresentanza e nelle iniziative organizzate dall’Ordine può essere un altro fattore incentivante? A Roma avete adottato la filosofia “No young no panel”, che si affianca al “No woman no panel”. Di cosa si tratta?
“Fermo restando il merito, oggi o forzi la mano o il cambio culturale non lo raggiungi. Vengono coinvolti i giovani non solo nella convegnistica e nelle attività formative. Quando, ad esempio, mandiamo al Ministero le terne per gli esami di Stato badiamo bene che non ci siano solo colleghi di una certa età. Un cambio di passo culturale che si va consolidando e oggi viene quasi automatico”.
Quindi la “quota generazionale” prevista dalla bozza di riforma del DLgs. 139/2005 le piaceva?
“Forse era formalizzata in modo un po’ problematico, ma sul principio e sul fare una forzatura – perché le quote lo sono sempre – per promuovere un cambiamento non solo a parole sono sempre d’accordo”.
Cosa, invece, la convinceva meno? Il tema della rappresentanza dei grandi Ordini?
“Premesso che non ho intenzione di parlare del nazionale, mi limiterei a dire che l’attuale sistema elettorale è già sproporzionato, perché i pesi sono molto regressivi: Roma rappresenta l’8,5% degli iscritti ma pesa per il 5%. Quando vai a mettere mano al sistema e addirittura mi proponi di ridurre ulteriormente quel peso non posso che essere contrario”.
Parliamo della formazione. Dall’epoca pre-COVID, tra la svolta verso gli eventi “da remoto” e l’avvento dell’intelligenza artificiale, sembra essere passato un secolo. Come vi siete adeguati?
“In 4 anni, l’Ordine ha organizzato più di 600 convegni, tutti gratuiti. Uno sforzo enorme, che abbiamo compiuto provando ad evolverci e reinventarci. Le iniziative con le software house, i convegni con gli youtuber; abbiamo inserito tematiche nuove, assecondando l’esigenza di coltivare le soft-skills, le caratteristiche relazionali della professione. Abbiamo anche invitato dei testimonial per parlare di modelli organizzativi, tema che si aggancia all’altra questione epocale per la categoria: quello delle aggregazioni”.
Il futuro è aggregazione e multidisciplinarità?
“Non credo ci sia alternativa nell’ottica dello sviluppo. Pensiamo alla necessità di specializzarsi. Oggi le materie sono sempre più complicate e ci viene richiesta dal cliente una sempre maggiore rapidità di reazione. Ma se ti specializzi in un settore hai bisogno di associarti con qualcuno che faccia altro. Aggregarsi rende possibile specializzarsi senza rimanere scoperti. E poi ci sono le economie di scala: ci sono investimenti che da solo non ti puoi permettere ma se siete in 5 sì. Senza parlare del tema «sicurezza»: magari un anno va male a te e bene al tuo socio di studio, quello successivo va al contrario. A prescindere di come sono strutturate le regole di ripartizione dell’utile, si riesce ad attutire il colpo”.
È pur vero che non tutte le realtà sono uguali. E poi c’é ancora il tema fiscale che ne frena lo sviluppo.
“Riconosco che l’Italia è lunga e stretta e che ci sono realtà in cui lo studio piccolo e mono-titolare ha ragione di esistere, anche in considerazione della clientela a cui si rivolge. Ma a me sembra che l’esigenza di aggregarsi sia ineludibile e la normativa, al di là di quella patologia sui forfetari su cui ci sono tante proposte di legge, ha fatto passi avanti, a cominciare dalla neutralità fiscale dei conferimenti”.
Che Ordine lascia?
“Lascio un Ordine in salute, sotto tante sfaccettature: salute economica, organizzativa, relazionale. L’Ordine ha lavorato bene anche in passato. Se devo pensare a qualcosa che è stato fatto in più, penso al fatto di aver avuto un approccio ancora più inclusivo. Ecco, abbiamo unito di più”.
Invece qual è l’auspicio per il futuro?
“Che si possa continuare su questa strada, perché c’è una bella squadra di gente che lavora. Spero che la prossima consiliatura possa essere in continuità con l’ultima. C’è una lista che ha dentro la maggioranza dei Consiglieri che escono dall’attuale Consiglio (quella che fa capo al candidato Presidente Andrea Borghini, ndr). Ovviamente, non posso che sperare che sia quella a uscire vincitrice dalla urne”.
Vietate le riproduzioni ed estrazioni ai sensi dell’art. 70-quater della L. 633/1941