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Sabato, 6 dicembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

IMPRESA

Inibitoria all’escussione di garanzie MCC a tutela dell’interesse dei creditori

In un quadro di aumento della finanza agevolata, la composizione negoziata diventa cruciale e la garanzia MCC può spostare gli equilibri di ogni piano

/ Matteo DE LISE e Nicola PALLADINO

Sabato, 6 dicembre 2025

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Dal COVID-19 a oggi il sistema produttivo italiano risente di una lunga stagione di finanza agevolata. Con i decreti emergenziali lo Stato ha mobilitato garanzie pubbliche massicce, potenziando il Fondo centrale di garanzia per le PMI.
Il risultato è un forte incremento dei crediti bancari assistiti da garanzia: moltissime imprese hanno almeno un finanziamento garantito e oggi faticano a restituirlo.

In questo quadro la composizione negoziata diventa cruciale e la garanzia MCC è il fattore che può spostare gli equilibri di ogni piano. Nello schema originario, in caso di inadempimento, la banca risolveva il contratto ed escuteva la garanzia, con surroga del Fondo nel credito e riscrittura delle priorità tra i creditori. Un meccanismo che rischiava di svuotare il tavolo negoziale proprio mentre si cercava un accordo.

Da qui l’emersione dell’inibitoria all’escussione come strumento di risanamento. Il divieto temporaneo di attivare la garanzia evita che la surroga privilegiata del Fondo alteri lo status quo dei creditori e comprometta la finanza-ponte necessaria al piano. In gioco non è la tutela “a prescindere” dell’impresa, ma la sospensione, per un periodo limitato, di un automatismo che, se azionato subito, può rendere impossibile il buon esito delle trattative.

Su questa linea si è mossa la giurisprudenza. Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 12 maggio 2024, ha ammesso il divieto di escutere – e persino di proseguire l’istruttoria del Fondo – quando l’attivazione immediata peggiora la posizione di tutti i creditori. Il Tribunale di Vicenza, con il provvedimento del 23 luglio 2025, ha riconosciuto nella composizione negoziata misure cautelari atipiche di sospensione dei pagamenti e di divieto temporaneo di attivazione della garanzia MCC, qualificandole come misure “ponte”. Le decisioni convergono su un punto: niente automatismi, l’inibitoria non è una moratoria generalizzata, ma uno strumento chirurgico.

Le implicazioni operative sono chiare. MCC ha rafforzato i controlli chiedendo verifiche documentali puntuali su bilanci, dati occupazionali, compagine societaria e caricamenti sul portale. Per gli advisor ciò significa predisporre un dossier “MCC-ready”: numeri coerenti, catena proprietaria chiara, quadro di gruppo ricostruito, piena compliance documentale.
Anche la richiesta cautelare deve adeguarsi: non basta evocare fumus e periculum, occorre dimostrarli dentro il perimetro MCC, spiegando con i numeri perché l’azienda è sostenibile se la garanzia non viene escussa subito e quale danno concreto produrrebbe un’attivazione immediata sugli equilibri del piano e sulla par condicio dei creditori.

Il piano deve inoltre indicare sin dall’inizio come verrà gestita un’eventuale escussione successiva, in termini di classamento dei crediti, riparto del voto tra banca e garante ed effetti del privilegio da surroga, così che il divieto a termine appaia come creazione di valore rispetto allo scenario “escussione subito” e non come un semplice rinvio.

Non c’è alcuna torsione del sistema: è un’applicazione coerente del Codice della crisi, che chiede misure protettive e cautelari atipiche, ma strumentali al risultato e misurate nel tempo. Quando il piano ha reale spessore industriale, la finestra di efficacia è breve e giustificata, i controlli informativi sono puntuali e il dossier è davvero MCC-ready, l’inibitoria all’escussione non è un tabù, bensì uno strumento di lavoro che tutela l’interesse complessivo dei creditori e accompagna il risanamento di imprese altrimenti destinate al default.

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