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Legittimazione ampia del PM per l’istanza di apertura della liquidazione giudiziale

L’interpretazione estensiva della legge fallimentare è stata codificata nel Codice della crisi

/ Antonio NICOTRA

Venerdì, 5 dicembre 2025

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La Cassazione, con ordinanza n. 31638 depositata ieri, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, in forza dell’art. 38 del DLgs. 14/2019 (CCII), il Pubblico Ministero è legittimato a presentare il ricorso per l’apertura della procedura della liquidazione giudiziale ogniqualvolta acquisisca la notitia decoctionis nell’esercizio delle sue più ampie funzioni giudiziarie, anche al di fuori di un procedimento penale.

Il Codice della crisi, recato dal DLgs. 14/2019, ha, in verità, ampliato la sfera di iniziativa del Pubblico Ministero in ordine al potere di apertura della liquidazione giudiziale, rispetto alla precedente legge fallimentare, ove l’art. 7 del RD 267/42 letteralmente subordinava, nella corrispondente ipotesi, il potere di iniziativa di tale organo all’apprensione della notitia decoctionis: “nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore”, ovvero “quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”.

L’art. 38 commi 1 e 2 del CCII prevede, con formula ad ampio respiro, invece, che il Pubblico Ministero presenti il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale: “in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza” e che “l’autorità giudiziaria che rileva l’insolvenza nel corso di un procedimento lo segnala al pubblico ministero”, con eliminazione del riferimento ai casi “tipici” previsti dal previgente art. 7 del RD 267/42.

Per la Suprema Corte, quindi, risulta evidente come il legislatore del CCII abbia voluto svincolare il potere di iniziativa nella presentazione del “ricorso” (diversamente, negli artt. 6 e 7 del RD 267/42 il riferimento era alla “richiesta”) dalla pendenza di un procedimento penale, nel corso del quale il Pubblico Ministero abbia appreso la notitia decoctionis del soggetto da sottoporre alla procedura concorsuale.

Dalla formulazione della nuova norma (art. 38), infatti, si evince come ogni notizia – in ordine all’insolvenza riguardante un soggetto suscettibile soggettivamente di essere sottoposto alla procedura concorsuale – appresa dal Pubblico Ministero nell’ambito dello svolgimento delle sue funzioni giudiziarie abiliti quest’ultimo ad intraprendere l’iniziativa volta all’apertura della procedura liquidativa.

Resta esclusa, invece, la sola ipotesi della notitia decoctionis appresa “privatamente” dal Pubblico Ministero, al di fuori dello svolgimento dei suoi compiti istituzionali.
Tale soluzione risulta, peraltro, coerente con gli ultimi approdi interpretativi ai quali era giunta anche la giurisprudenza di legittimità in ordine al previgente art. 7 del RD 267/42, che aveva, in concreto, esteso la legittimazione del Pubblico Ministero alla presentazione della relativa richiesta in tutti i casi nei quali lo stesso avesse istituzionalmente appreso la notitia decoctionis (Cass. nn. 31999/2022 e 27670/2022), tanto nel corso di un procedimento penale – senza necessità della preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo o di terzi (Cass. n. 8977/2016) – quanto al di fuori di un vero e proprio procedimento penale, come nel caso di atti trasmessi al Pubblico Ministero ed iscritti a “modello 45”, in quanto privi di rilevanza penale; trattandosi, anche in tal caso, di un’attività che rientra nei compiti istituzionali attribuitigli e che può quindi costituire una fonte di informazione utile a legittimare l’iniziativa volta alla dichiarazione di insolvenza (Cass. n. 26407/2021).

Esclusa la sola notizia appresa “privatamente”

Anche sotto il vigore del art. 7 del RD 267/42 l’iniziativa del Pubblico Ministero era, in definitiva, legittima tutte le volte in cui fosse stata stimolata dalla sua partecipazione a processi o procedimenti di sua competenza e in detta sede avesse conosciuto della decozione di una parte o di un terzo: ciò che contava, infatti, era che un fatto sensibile, ai sensi degli artt. 1-5 del RD 267/42, fosse portato all’attenzione del Pubblico Ministero per le sue valutazioni e che ciò avvenisse nell’ambito di un processo ovvero di un procedimento sottoposto al suo esame istituzionale (Cass. n. 27670/2022).

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