Definitive le modifiche al regime dei dividendi
Esclusione del 95% condizionata al rispetto di requisiti legati all’entità della partecipazione
Con il via libera del Senato, dopo il voto sulla fiducia posta dal Governo, al Ddl. di bilancio 2026, trasmesso ieri in serata alla Camera, sono di fatto definitive le modifiche alla disciplina dei dividendi percepiti dai soggetti imprenditori, tali per cui l’esclusione dal reddito nella misura del 95% (o del 60%, 50,28% o 41,86% per le società di persone) sarà limitata alle situazioni in cui la partecipazione dalla quale promanano gli utili sia almeno pari al 5% in termini di partecipazione al capitale o, in alternativa, abbia un valore fiscale in termini assoluti almeno pari a 500.000 euro.
Questo assetto diverge in misura significativa da quello contenuto nel Ddl. originario presentato al Parlamento per il relativo esame. L’art. 18 del Ddl., infatti, contemplava un requisito unico (la partecipazione almeno pari al 10% nella società che distribuisce gli utili, mutuato dalla direttiva 2011/96/Ue, c.d. “madre-figlia”), poi modificato nel corso dell’iter parlamentare.
Al contrario, nel corso dell’iter sono state inserite modifiche al regime della participation exemption non contemplate dal Ddl. originario, ma resesi necessarie al fine di assicurare un coordinamento con la disciplina dei dividendi. Anche per le plusvalenze, il regime di esenzione è vincolato al possesso di una partecipazione di entità minima (5% in termini di partecipazione al capitale, ovvero 500.000 euro di valore fiscale), requisito che si aggiunge a quelli “storici” di cui all’art. 87 comma 1 del TUIR ma che riguarderà le sole partecipazioni acquisite dal 1° gennaio 2026.
Le modifiche vanno a correggere un sistema, durato oltre 20 anni, in cui l’esclusione risultava incondizionata, in quanto funzionale ad assicurare un’applicazione piena dei principi allora codificati nel DLgs. 344/2003, tesi a prevedere che l’utile societario fosse tassato in capo al solo soggetto che lo produce, e non invece in capo al soggetto che lo percepisce in qualità di dividendo.
Questo principio era temperato con previsioni di imponibilità parziale in capo a soggetti quali, ad esempio, le società di persone commerciali, o di imposizione sostitutiva per i dividendi non qualificati percepiti dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di imprese (regime successivamente esteso alla generalità dei dividendi percepiti da tali soggetti); esso garantiva che i dividendi distribuiti lungo una ipotetica catena societaria formata da società di capitali residenti potessero continuare a risultare esclusi da imposizione in modo incondizionato, fatta salva la quota forfetaria del 5% (l’imposizione, nelle sue varie forme, era rimandata al momento in cui i proventi fuoriuscivano da questa catena di società).
Le modifiche operate riguardano, in primo luogo, gli artt. 59 e 89 del TUIR. Sono conseguentemente interessati da tali modifiche, per quanto riguarda i soggetti residenti:
- le società di persone commerciali (snc e sas), le quali seguono l’art. 59;
- le persone fisiche che detengono le partecipazioni dalle quali si originano i dividendi in regime di impresa, anch’esse soggette all’art. 59;
- le società di capitali e gli enti commerciali, per i quali i dividendi seguono le regole dell’art. 89.
Pur se la questione ha un riflesso pratico limitato (fatti salvi pochi casi, infatti, i dividendi già concorrono alla formazione del reddito degli enti non commerciali in misura integrale), si deve ritenere che l’intervento della legge di bilancio 2026 non esplichi effetti sulla posizione degli enti non commerciali. Deporrebbe a favore di questa conclusione la considerazione per cui la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 4 comma 1 lett. q) del DLgs. 344/2003 (e non, quindi, dagli artt. 59 o 89 del TUIR), pur se la stessa, in origine, riservava agli enti non commerciali il medesimo regime delle società di capitali (esclusione dal reddito del 95% dei proventi percepiti).
La questione riveste, invece, un interesse concreto per gli utili soggetti alla disciplina di cui all’art. 1 commi 44-47 della L. 178/2020, la quale prevede l’esclusione dall’imponibile del 50% degli utili percepiti dagli enti non commerciali che esercitano senza scopo di lucro una o più attività di interesse generale menzionate dalla medesima norma. Questa disciplina, in quanto speciale, dovrebbe applicarsi senza soluzione di continuità.
Da ultimo, le modifiche hanno un riflesso anche sulla posizione dei soggetti non residenti (o meglio, di taluni di essi). Con apposite modifiche all’art. 27 comma 3-ter del DPR 600/73 (nonché all’art. 55 comma 5 del DLgs. 33/2025, nel quale l’art. 27 comma 3-ter del DPR 600/73 confluirà dal 2027) si prevede infatti che, al fine di mantenere l’equivalenza nella misura del prelievo tra società italiane e società Ue/See (non titolate ai benefici “madre-figlia”), l’aliquota ridotta dell’1,20% venga mantenuta alle medesime condizioni previste per il prelievo commisurato al 5% del provento in capo ai soci italiani: è conseguentemente richiesto anche in tali casi che la partecipazione del socio estero nell’emittente italiano sia almeno pari al 5% in termini di capitale, ovvero abbia un valore fiscale in termini assoluti almeno pari a 500.000 euro.
Nulla cambia, infine, per le persone fisiche non imprenditori, le quali rimarranno incise, come già avviene nell’attuale contesto, dal prelievo del 26% a titolo definitivo.
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