ACCEDI
Sabato, 14 giugno 2025 - Aggiornato alle 6.00

OPINIONI

Studi associati: sulle ammissioni in chirografo deve muoversi il CNDCEC

È necessario dopo alcune sentenze che, nei passivi fallimentari, ammettono il credito in privilegio solo per la prestazione del singolo professionista

/ Massimo MIANI

Mercoledì, 21 luglio 2010

x
STAMPA

Uno dei tanti leitmotiv che caratterizza la politica delle professioni (e che, a parole, viene sempre rilanciato anche dalla politica vera e propria) è quello dell’importanza dell’aggregazione tra professionisti.

Indubbiamente, l’aggregazione è lo strumento più efficace attraverso il quale assicurare ai cittadini servizi e consulenze professionali qualitativamente migliori, grazie alla spinta verso la specializzazione che il fenomeno aggregativo favorisce tra i partecipanti ad una medesima organizzazione.
Allo stesso tempo, l’aggregazione è il modo migliore per rafforzare i professionisti stessi, dando maggiore stabilità alla propria attività e consentendo loro di poter meglio affrontare le sfide sui mercati internazionali, ma anche, più modestamente, di poter meglio far fronte a competitor interni sempre più agguerriti (le società di revisione dall’alto e le associazioni di categoria dal basso) che proprio sulla massa critica della loro struttura fanno il principale punto di forza.
Giusto quindi mantenere alta l’attenzione su questo fronte, come anche il nostro Consiglio nazionale fa, riproponendo pure per il Congresso nazionale di Napoli del prossimo ottobre il tema della società di lavoro professionale.

Ciò detto, sarebbe però opportuno muoversi con forza e decisione rispetto ad una deriva giurisprudenziale che, partita da Milano all’incirca un paio d’anni fa, sta ormai espandendosi a macchia d’olio ed ha un contenuto tale da poter essere considerata tutto, tranne che uno sprone all’aggregazione tra professionisti.
Mi riferisco al problema dell’insinuazione dei professionisti nei passivi fallimentari, quando il credito di lavoro da essi vantato nei confronti della procedura deriva dall’esercizio della professione non già in forma individuale, bensì in forma associata.
Quando un libero professionista svolge la propria attività in forma individuale, è pacifico che il suo credito risulti accompagnato dal privilegio di cui al num. 2) dell’art. 2751-bis del codice civile.
Sarebbe lecito presumere che nulla cambia, nel caso in cui quella stessa attività professionale, da cui il credito di lavoro si origina, sia svolta da quel medesimo professionista in forma associata.

Ebbene, questo legittimo convincimento è stato pesantemente messo in discussione, ad inizio del 2008, da una sentenza del Tribunale di Milano (22 gennaio 2008), cui hanno fatto seguito altre pronunce di Tribunali sparsi per l’Italia (in particolar modo nel Triveneto), fino ad arrivare alla sentenza della Corte di cassazione n. 22439 del 22 ottobre 2009.
In pratica, secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, nel caso di professione esercitata in forma associata, il credito viene ammesso in privilegio soltanto se il rapporto di prestazione d’opera si instaura tra il singolo professionista (e non con lo studio associato cui esso partecipa) e il cliente.
Diversamente, il credito viene ammesso in chirografo.

A parte il suggerimento squisitamente operativo di predisporre i mandati professionali per iscritto e di specificare in essi la figura del singolo professionista associato titolare del relativo rapporto con il cliente, al fine di tutelare la propria posizione, nel caso in cui si determini la necessità di presentare istanza di insinuazione al passivo fallimentare per il proprio credito di lavoro, quanto precede apre uno scenario problematico che meriterebbe di essere affrontato anche sul piano politico, con la dovuta efficacia.

I professionisti si aggregano per offrire prestazioni migliori ai cittadini

I professionisti che si aggregano lo fanno infatti proprio per raggiungere gli obiettivi, da tutti condivisi, che abbiamo accennato in precedenza: offrire prestazioni migliori ai cittadini e competere meglio sul libero mercato.
Questo non ha nulla a che vedere però con la natura personale della prestazione, che tale rimane fino a prova contraria, diversamente da quello che vorrebbe dare ad intendere certa giurisprudenza, ossia che semmai la prova contraria serve per vincere la presunzione di spersonalizzazione della prestazione.

Come Ordine di Venezia abbiamo già avuto modo di rappresentare la questione a Giulia Pusterla, consigliere nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili per l’area delle procedure concorsuali, trovando piena disponibilità e attenzione.
Sono infatti aspetti sui quali, come categoria, sarebbe opportuno muoverci a livello nazionale, perché tale è la dimensione del problema che sta montando.

TORNA SU