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LETTERE

Contributo di solidarietà, un nome sbagliato per un provvedimento giusto

Venerdì, 10 dicembre 2010

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Caro Direttore,
pochi giorni fa il collega De Vecchi spiegava su questo quotidiano perché si è opposto al contributo di solidarietà (si veda “Vi spiego perché mi sono opposto al contributo di solidarietà” del 6 dicembre 2010).

Faccio una premessa affinché il mio pensiero sia chiaro, sforzandomi nel contempo di non aprire un battibecco con il collega, ma un dibattito ampio e serio su questo tema. Personalmente, durante la riforma, mi sono battuto affinché sui c.d. “diritti quesiti ed acquisiti” si incidesse in modo più energico e significativo. Fu una battaglia di minoranza, che l’Unione Giovani allora ha combattuto e che fu persa. So che la cosa non è nota, ma la nostra Cassa, al pari di quella dei Ragionieri, si è negativamente distinta in passato per l’eccessiva generosità dei trattamenti. Il meccanismo del sistema di calcolo retributivo dei trattamenti pensionistici introdotto nel 1986, mutuato da quello degli avvocati del 1980, già generoso se confrontato con i contributi versati, fu costruito in modo tale da garantire trattamenti significativamente ancor più generosi, in particolare per i redditi più alti. Peraltro, nel frattempo, prima della riforma del 1986, vigente il vecchio sistema contributivo, i colleghi avevano versato contributi risibili.

Il nostro sistema parte con questo vizio d’origine, al punto che i nostri colleghi, dal 1963 al 1986 (24 anni!), hanno versato 4.462.500 di vecchie lire (attualizzate ad oggi meno di circa 15mila euro) e che, applicando il sistema retributivo introdotto nel 1986, recuperano in pochi anni non solo tutti i contributi soggettivi, ma anche quelli integrativi versati, e per la differenza questi trattamenti generano rilevanti deficit. Tutto ciò in favore di generazioni di professionisti che hanno redditi medi purtroppo irreplicabili nel futuro. Francamente, non mi consola il fatto che tali iniquità siano proprie di tutto il nostro sistema previdenziale pubblico e privato.

Tralascio in questa sede tutta una serie di considerazioni prettamente giuridiche (che ben volentieri svilupperò in altra occasione che dovesse presentarsi) e vengo dritto al punto: un sistema non solidale è un sistema a rischio, perché “non c’è equilibrio senza equità”. Il collega ha ragione a dire che il contributo di solidarietà di per sé non incide sulla sostenibilità della nostra Cassa, ma non dimentichiamo che senza una piena e volontaria adesione ad un sistema previdenziale, quel sistema rischia di saltare e questo danneggia tutti. Se i pensionati sono stati costretti al versamento del contributo di solidarietà, i colleghi giovani sono stati costretti ad entrare in un sistema iniquo, e non hanno potuto scegliere.

Gli sforzi, che vedono in prima linea la nostra Cassa, per introdurre provvedimenti che consentano di utilizzare il contributo integrativo per rafforzare il montante contributivo, vanno salutati positivamente, come pure va dato plauso ai giovani che con responsabilità stanno comprendendo che la situazione venutasi a creare non si modifica con un colpo di spugna. Questo però non significa dover accettare qualunque cosa.
Quando i giovani chiedono maggiore equità lo fanno perché, se qualcosa non cambia nel welfare e nel mercato del lavoro, non si riesce veramente e vedere quale futuro stiamo progettando per il nostro Paese.
La misura è colma: la miopia dei diritti acquisiti nonostante tutto è inaccettabile e ci condanna al declino!

È vero, la definizione di “contributo di solidarietà” è ipocrita e demagogica, perché qui nessuno sta chiedendo l’elemosina, tantomeno i giovani commercialisti: vogliamo solo costruire un Paese migliore e più giusto.
L’equità dei sistemi previdenziali, e cioè l’adeguatezza di tutti i trattamenti presenti e futuri, è una imprescindibile necessità anche per la sostenibilità dei sistemi stessi. I giovani dottori commercialisti, in una situazione di mercato difficile, tutti i giorni lavorano senza chiedere nulla a nessuno. La beneficienza è un’altra cosa.


Fabio Battaglia
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Arezzo

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