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Domenica, 22 giugno 2025

EDITORIALE

Un Paese non funziona se i salari «pubblici» crescono il triplo dei «privati»

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 14 giugno 2011

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I dati diramati da Bankitalia sui trend di crescita dei salari e le reazioni dei grandi sindacati del lavoro dipendente sono la cartina di tornasole dei problemi che stanno portando il Paese a una lenta morte per consunzione.

Partiamo dai dati di Bankitalia: dal 2002 ad oggi i salari reali lordi dei lavoratori dipendenti del settore privato sono cresciuti del 6,8%, quelli dei dipendenti pubblici del 22,4%.
Una pura follia, se si considera tra l’altro che chi lavora nel pubblico impiego ha già il beneficio della maggiore sicurezza della stabilità del proprio rapporto di lavoro e dovrebbe quindi semmai, a parità di funzioni, responsabilità e ore lavorative, guadagnare un po’ meno di chi sta nella trincea di un mondo che conosce ciclicamente crisi economiche, fallimenti, ristrutturazioni aziendali con esuberi e casse integrazioni.

Una follia, però, davanti alla quale la “Triplice” sindacale, sempre pronta a rilanciare sul sensazionalismo dei dati relativi all’evasione fiscale, frena, minimizza e oppone distinguo al limite dell’autogol: il dato del pubblico impiego sarebbe falsato al rialzo da alcune categorie, come magistrati e professori universitari, per i quali l’aumento sarebbe stato del 40%.
Non c’è da stupirsi che il perverso equilibrio degli squilibri, tra dipendenti pubblici proprietari del loro posto di lavoro e partite IVA lasciate libere di evadere le imposte, si stia spezzando a favore dei primi.

In questi ultimi anni, Confindustria, il Consiglio nazionale dei commercialisti e pure altre organizzazioni rappresentative del mondo dell’iniziativa economica privata hanno denunciato in modo aperto i mali dell’evasione fiscale; hanno sviluppato essi stessi stime impietose e, con apprezzabile senso civico, hanno in questo modo dato alla politica la piena copertura ideologica a un’inasprimento della lotta all’evasione fiscale che mai come in questi ultimi cinque anni, tra accertamento e riscossione, era stato fatto prima.

Sull’altro fronte, invece, tutto prosegue come prima (strenua difesa di qualsivoglia diritto acquisito individuale e collettivo) ed ecco che una politica troppo poco autorevole per essere capace di imporre alcunché sta approfittando delle aperture, che vengono dalla parte più capace di rischiare e di innovare anche se stessa, non per costringere anche l’altra parte a seguirla verso un nuovo e più virtuoso equilibrio, ma per risolvere il più possibile i problemi del Paese sulla pelle di quella che si apre, limitando così al massimo le richieste di sacrifici a chi invece non intende ragioni.
Rispetto a quello che, ad esempio, è stato recentemente fatto sul fronte della riscossione dei tributi, la temporanea sospensione della contrattazione nel pubblico impiego è ben poca cosa.

Così non può funzionare.
È impensabile fare la morale sull’evasione fiscale in un Paese in cui si danno, a chi vive nella sicurezza del pubblico impiego, riconoscimenti economici pagati con denaro pubblico addirittura maggiori di quelli che riesce a ritrarre il dipendente che vive nella prima linea del mercato privato.
La pubblica amministrazione è importantissima, così come lo sono le salmerie per un qualunque esercito che non voglia essere sconfitto prima ancora di cominciare a combattere.

Il rischio è che il Paese non diventi dinamico, ma immobile

Se però si tributano a chi sta nelle salmerie onori addirittura maggiori di quelli che vengono guadagnati da chi sta in prima linea, è inevitabile il rischio di diventate non un Paese dinamico particolarmente attento all’efficienza delle retrovie, ma un Paese immobile di imboscati.

Per poter proseguire con la necessaria determinazione nella lotta all’evasione fiscale, senza trasformarla in una guerra sociale di una parte contro l’altra, questo Paese ha bisogno di due cose.
Una classe politica capace di dettare l’agenda delle cose da fare anche a chi non vuol intendere ragioni.
L’aiuto delle forze migliori presenti nel pubblico impiego per isolare dall’interno un modo esasperato di fare sindacato che, altrimenti, ci porterà tutti dai diritti acquisiti ai diritti finiti.

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