Dallo sciopero alla delazione fiscale senza passare per il «via»
Non è passata inosservata, alla generalità dei mezzi di informazione, la proposta lanciata in questi giorni da La Padania in materia di evasione fiscale: incentivare le denunce, da parte di privati cittadini, dei casi di certa o sospetta evasione, garantendo l’anonimato e soprattutto una compartecipazione finanziaria alle sanzioni incassate dallo Stato grazie alle segnalazioni.
Sarebbe stato del resto strano il contrario, posto che si tratta del quotidiano ufficiale di un movimento politico che, appena quindici anni fa, riteneva nella sostanza moralmente giustificata l’obiezione fiscale contro uno Stato centrale sprecone, inefficiente e poco trasparente.
Cos’è cambiato in questi quindici anni?
Nulla, ci insegnano la cronaca e i conti pubblici di questi anni e tanto più quella di questi ultimi mesi.
Nulla, a parte, ovviamente, il fatto che l’establishment di quel partito è divenuto esso stesso co-gestore di quel medesimo Stato centrale.
E non da oggi, bensì per otto degli ultimi dieci anni.
Divenuti i padroni del vapore e preso atto che l’unico carburante rimasto per mandarlo avanti (così come lo hanno trovato, visto e, alla fine dei fatti, piaciuto) è il denaro dei cittadini, perché prenderlo a debito non è più possibile, anche questi strenui avversari dell’oppressione dello Stato sul cittadino si sono omologati a chi li ha preceduti e a chi li accompagna.
Anche loro, ormai, vedono nella lotta all’evasione fiscale non uno strumento per ripristinare un minimo di equità tra i cittadini, ma la scorciatoia per cambiare il meno possibile ciò che palesemente andrebbe cambiato.
Per chi ragiona così, più entrate dalla lotta all’evasione significano essenzialmente minore necessità di interventi drastici sulle pensioni di anzianità, sulle Province, sui costi della politica (quelli veri), sui mega-compensi degli alti dirigenti della pubblica amministrazione e delle varie società e authority pubbliche.
L’evasione fiscale è uno sconcio intollerabile, tanto più in tempi di crisi come questi, ma, fino a quando non verrà previsto che le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione possono essere destinate esclusivamente alla riduzione delle imposte applicate su chi le paga, tutti questi soloni che governano il Paese, ivi compresi quelli che lo governano dall’opposizione, possono scordarsi, da parte del cittadino che fa il suo dovere di contribuente, qualsivoglia compartecipazione emotiva diversa, al più, dall’invidia.
Il disgusto può infatti ben neutralizzare il disprezzo.
Non è una riedizione in salsa fiscale del tristemente celebre “né con lo Stato, né con le BR”, ma un chiaro invito a non confondersi e a non confondere.
Un invito che vale per i rappresentanti delle istituzioni e per i politici, ma anche per tutti coloro che, nel sindacato o nelle categorie economiche, tuonano contro l’evasione fiscale dimenticando di aggiungere quella che è invece una precisazione imprescindibile.
Con una pressione fiscale destinata a toccare un nuovo record nel 2012 e a superare addirittura il 44% dal 2013, la lotta all’evasione fiscale non può essere fatta per creare coperture finanziarie grazie alle quali cambiare questo Stato meno di quanto altrimenti sarebbe necessario.
Deve essere fatta solo e soltanto per spalmare in modo più equilibrato ed equo, tra i cittadini, l’ammontare complessivo delle entrate tributarie.
Un messaggio indubbiamente difficile da far passare, se la classe politica che regge oggi il Paese si divide tra chi questo semplice messaggio non è mai riuscito a comprenderlo e chi se lo è così clamorosamente dimenticato.
Un messaggio che però non si stancheranno mai di ripetere tutti coloro che davvero vogliono cambiare questo Paese e vedono nella lotta all’evasione fiscale uno dei fondamentali tasselli per costruire questo mosaico di cambiamento complessivo, anziché appunto una sorta di ultima spiaggia per cambiare il meno possibile.
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