L’obbligo di assicurazione caratterizza meglio le professioni ordinistiche
Gentile Direttore,
morale, etica e deontologia sono termini che, sovente, vengono usati indifferentemente, privandoli, ad esempio nel campo delle applicazioni alle professioni ordinistiche, della loro capacità di delineare una precisa fenomologia identitaria, mentre in realtà dovrebbe essere ben chiaro il loro perimetro ontologico.
La morale, secondo Hegel, va intesa come l’aspetto soggettivo della condotta, la disposizione interiore ed intenzionale dell’uomo, ovvero il modo di agire e di comportarsi secondo le proprie personali inclinazioni. Lapalissiana la differenza rispetto all’etica, che, invece, involve gli aspetti più oggettivi e generali della condotta umana. La deontologia professionale altro non è che l’insieme dei doveri o, forse ancora meglio, dei “comportamenti doverosi”, secondo la definizione di Carlo Lega, e delle regole riguardanti un determinato gruppo professionale. La deontologia professionale assurge, quindi, alla funzione di comporre e delineare un’identità per il tramite dell’etica e può essere, sempre con le parole di Lega, definita come “il complesso delle regole e dei principi che disciplinano particolari comportamenti non di carattere tecnico del professionista, attuati o comunque ricollegati all’esercizio della professione e all’appartenenza al gruppo professionale”.
Sterile ricostruzione definitoria? Non ritengo. Pensiamo solo ad alcune, seppur non esaustive, applicazioni e considerazioni legate agli istituendi Consigli di disciplina ed al novello obbligo di stipulare un’assicurazione per tutti i professionisti, al netto della proroga concessa alle professioni sanitarie (si veda “RC professionale, proroga solo per le professioni sanitarie” del 14 agosto 2013).
Mi sia però consentita una breve parentesi su quest’ultimo aspetto. La proroga è stata disposta “al fine di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa anche per i giovani esercenti le professioni sanitarie, incentivandone l’occupazione, nonché di consentire alle imprese assicuratrici e agli esercenti stessi di adeguarsi alla predetta disciplina” (art. 44, comma 4-quater del DL 69/2013 convertito).
Quale la genesi di questa proroga sartoriale? Sarà, forse, che teoricamente i premi assicurativi per le professioni sanitarie si attestano su valori medi superiori rispetto a quelli di altre professioni e, quindi, in assenza di convenzioni stipulate a livello nazionale (ma non hanno avuto a disposizione lo stesso orizzonte temporale delle altre professioni ordinistiche?), viene concesso più tempo per fornire la possibilità di calmierare l’offerta o di studiare condizioni assicurative di maggiore favore. Sarà che, notoriamente, le professioni sanitarie possono fare “meno danni” di quanti non ne facciano altri professionisti. O sarà, ancora, che esistono solo “giovani esercenti le professioni sanitarie”, mentre nelle altre professioni ci sono solo ed esclusivamente professionisti maturi, al più malati di giovanilismo o di trasformismo genetico.
Chiusa la digressione, la mancata concessione della proroga per le altre professioni, a ben pensarci, ritengo sia da salutare con favore e da ritenere un elemento distintivo ed identitario proprio delle professioni ordinistiche.
Queste ultime, infatti, sappiamo essere state profondamente sfregiate dalla L. n. 4/2013, ovvero la normativa di riferimento delle “professioni non organizzate in ordini o collegi”, e alcune, in particolare quella del dottore commercialista e dell’esperto contabile, sicuramente più di altre. Una legge che, colpevolmente “drogando” il mercato, ovvero porzioni di esso, consente a soggetti non abilitati – secondo quanto, invece, richiesto dall’art.33, comma 5 Cost. – l’utilizzo del termine “professionista” e, al contempo, declina come eventuale il possesso della polizza assicurativa per la responsabilità professionale (art. 7, comma 1, lett. e) della L. 4/2013).
A questo punto, però, l’illecito disciplinare legato alla mancanza di una polizza per i professionisti ordinistici, guardando il bicchiere mezzo pieno, diventa un elemento di forte differenziazione rispetto ai lavoratori autonomi della L. n. 4/2013. Per i non regolamentati non vi è obbligo di copertura assicurativa, quindi, e il rispetto dei principi deontologici assume un imbarazzante conformazione maculata e autoreferenziale, in quanto ciascuna associazione avrà i propri principi e ciò, paradossalmente, anche con riferimento ad associazioni tra loro omogenee per attività esercitate. Chissà, poi, quale contorno deontologico avranno i singoli soggetti non organizzati in ordini o collegi che, legittimamente, non si aggregheranno a nessuna associazione. Non è dato saperlo, ad oggi almeno.
L’obbligatorietà della polizza professionale, che meglio configura i tratti distintivi ed identitari delle professioni ordinistiche, così come l’attribuzione del potere disciplinare ad un soggetto terzo rispetto agli Ordini professionali, rappresentando una radicale palingenesi, non può che fortificare sotto il profilo dell’autonomia, dell’indipendenza e di perdita di autoreferenzialità.
Marco Cramarossa
Presidente UGDCEC di Bari e Trani
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