Sul diritto al contraddittorio preventivo siamo cittadini di serie B
Caro Direttore,
alzi la mano il collega che non si è mai sentito dire da un funzionario: “dottore, lei ha perfettamente ragione. Ma ormai l’Agenzia (o la GdF) si è già espressa ed io ho le mani legate. Non le resta che presentare ricorso...”.
Situazione cristallizzata sotto la pressione della paura per le azioni della Corte dei Conti da una parte e lo stress del budget da raggiungere dall’altra, non controbilanciate da alcuna responsabilità dell’organo accertatore nel caso di errore.
Proprio la mancanza di tali contrappesi (per la cronaca, l’Agenzia delle Entrate del Regno Unito apposta nel proprio bilancio un congruo “fondo rischi” a copertura dei risarcimenti dovuti ai contribuenti per gli accertamenti ingiusti) e, anzi, la conclamata esistenza di obiettivi di gettito dovrebbero rendere ancor più importante la fase dibattimentale di quanto non accada in altri Paesi.
Queste considerazioni ci spingono ad inviare al Presidente della Corte di Cassazione la seguente lettera aperta.
Egregio Presidente,
con la sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015 resa a Sezioni Unite la Corte sembra aver relegato il nostro beneamato Paese in una categoria inferiore, classificando i nostri cittadini in serie “B”.
Dice la Corte che nel diritto interno non esiste una clausola generale in favore del contraddittorio preventivo, stabilendo anzi che anche laddove tale clausola fosse espressamente prevista dalla legge, la sua violazione sarebbe sanzionabile solo laddove il danneggiato enunci in giudizio le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di mancato contraddittorio e che dimostri che la mancata assunzione delle stesse abbia provocato uno “sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto”.
Non solo ha constatato l’assenza esplicita di una norma che lo imponga, ma ha pure desunto la sua assenza in termini di principi, avendo esplicitamente analizzato gli artt. 24 e 97 Cost. (diritto di difesa e imparzialità e buon andamento della P.A.). In particolare, sostiene che l’art. 97 Cost. non reca il benché minimo indice rivelatore della indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale. Piuttosto, proprio l’esplicita previsione della legge ordinaria per alcune fattispecie (art. 12 della L. 212/2000) sarebbe indicatore dell’assenza di tale principio.
In altre parole, il principio generalizzato non sussiste perché non è esplicitato in norme di legge.
Ma la contraddizione si appalesa quando essa analizza il diritto comunitario.
Essa conclude che la lettura in sede comunitaria è diversa. Dice la sentenza: “Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia [...] emerge che il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento Europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione [...]. Il principio è attualmente codificato nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel garantire il diritto ad una buona amministrazione, la disposizione (che avendo assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, solo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avvenuta l’1.12.2009, è, di per sé, ratione temporis, applicabile solo ai procedimenti amministrativi conclusisi con provvedimenti successivi alla data suddetta), prevede, al § 2, che, nell’ambito del menzionato diritto, va, tra gli altri, ricompreso «il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio»”.
Dunque, secondo la Corte, tale diritto emerge analizzando la giurisprudenza comunitaria, la quale lo ha fatto trascendere non già da una norma esplicitata nel trattato (che, al pari della Costituzione nostrana, non lo prevede), ma da quegli stessi principi comunitari che sono in verità i medesimi previsti dalla Costituzione italiana. Si parla infatti di diritto di difesa (art. 24) e diritto a una buona amministrazione (art. 97), principi esplicitati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Le conseguenze di tale visione distonica sono paradossali: il diritto al contraddittorio preventivo sussisterebbe solo per i tributi armonizzati e non per quelli non armonizzati. Il che significherebbe che i tributi armonizzati sono gestiti con un’amministrazione “più buona” di quella italiana e con un diritto di difesa “più forte” di quello garantito dalla nostra Costituzione.
Visto da un altro punto di vista, la scelta sembra suggellare il fatto che il cittadino italiano, quando è anche cittadino europeo, è rispettato al pari degli altri. Quando invece è “solo” italiano, vale di meno: a lui la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non si applica.
Appunto: cittadino di serie B.
Un’ultima annotazione: la Corte si è spinta a concludere che anche nel diritto comunitario tale diritto non è sempre sanzionato con l’improcedibilità, ma può essere soggetto a restrizioni “che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, ad obiettivi di interesse generale”. Peccato che la stessa Corte precisi che tali limitazioni sono applicabili alla fase delle indagini (“l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista”), ovvero in sede accertativa, ma precisando “che la possibilità di un’audizione successiva, effettuata in esito ad impugnazione di provvedimento sfavorevole, può essere idoneo a garantire il rispetto del diritto ad essere sentiti, seppur alla condizione che la normativa nazionale consenta all’interessato non previamente sentito, di ottenere in via automatica la sospensione dell’esecuzione del provvedimento fino alla sua eventuale riforma”.
Ma pure con tali restrizioni qui “non ci siamo”: il nostro ordinamento non solo non garantisce la sospensione automatica dell’esecuzione del provvedimento in attesa del giudizio, ma anzi abbiamo lo standard opposto: gli accertamenti sono direttamente esecutivi anche se opposti e anche se si chiede la loro sospensione al giudice. Sicché, se il giudice non si pronuncia, o si pronuncia oltre i tempi materiali dell’esecuzione, il danno è fatto. Ma quand’anche il giudice negasse la sospensione, il contribuente sarebbe tenuto a versare allo Stato anche quegli oneri aggiuntivi maturati nel periodo di attesa del giudizio di sospensione (more, aggi, ecc.).
Qui andiamo addirittura in serie C.
Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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