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LETTERE

La realtà confligge con le ricostruzioni sull’evasione

Venerdì, 12 agosto 2016

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Spettabile Redazione,
in riferimento alla lettera del collega Bevacqua, Vicepresidente dell’Ordine di Catanzaro (si veda “Sull’evasione più comodo guardare al dito piuttosto che alla luna”) che evidenzia – correttamente, seppur con toni campanilistici – come una mera costruzione statistica possa trasformare l’Italia in uno Stato in cui si pratica una massiva evasione, ritengo debbano essere fatte profonde riflessioni.

A mio parere, la testata giornalistica che l’8 agosto ha pubblicato il corposo dossier riferendo come i risultati del gap fra “reddito complessivo” e “consumi delle famiglie” possano delineare il rischio di evasione, ha probabilmente ecceduto nei toni in quanto, pur citando le fonti dei dati (ISTAT e Finanze) ne ha fatto una interpretazione, nei titoli, quantomeno superficiale. Infatti, a seconda di come vengono calcolati in origine gli elementi del rapporto (modalità che non sono specificate) si possono alterare sensibilmente i dati finali.

Per esempio, occorre considerare che le regioni con una percentuale più alta di rischio evasione, tranne Val D’Aosta e Friuli, sono concentrate al sud e, guarda caso, sono le regioni in cui storicamente manca lavoro ed i padri di famiglia se ne vanno all’estero contribuendo con le loro rimesse ai consumi delle famiglie in patria; analogo discorso per la Val d’Aosta ed il Friuli che sono regioni di confine con un alto numero di lavoratori nei paesi esteri limitrofi. Non si sa se queste variabili sono state considerate, né in che modo, e se i dati sono stati depurati dei consumi delle imprese e dei consumi imputabili al flusso turistico e non alle famiglie italiane.

Di eccezioni se ne possono fare anche altre ma non è questo lo scopo principale di queste poche righe. Preme solo evidenziare come si possa sacrificare la realtà con una presunta razionalità. È mia personale convinzione che continuare a costruire ipotesi inventate con l’ausilio di strumenti matematico – statistici di dubbia se non nulla affidabilità, porti il nostro Paese alla rovina perché ingenera convinzioni irrealistiche di una ricchezza illecita da evasione che, obiettivamente, non vedo in giro (quantomeno non per le cifre iperboliche sostenute dall’Amministrazione).

Se consideriamo i numeri totali emersi nell’articolo si arriva alla bellezza di 177 miliardi di differenza fra reddito e consumi per il 2014 (meno male che viene chiarito che “non possono semplicisticamente ritenersi frutto di evasione”). Anche considerando i numeri del Ministero delle Finanze che riduce a 91 miliardi i proventi da evasione per il 2014, abbiamo una cifra enorme. Ma è vero?
Quante imprese abbiamo accompagnato alla liquidazione o al fallimento negli ultimi dieci anni? Quanti disoccupati chiedono lavoro anche nei nostri uffici? Questa è la realtà vera che confligge con ricostruzioni di ricchezze sottratte alla tassazione di tal fatta. La logica è sempre la stessa sia a livello generale che particolare.

Uno dei problemi principali che il nostro Paese deve affrontare per potersi riprendere è risolvere il nodo della corretta tassazione in modo da tassare imponibili veri in aderenza agli artt. 53 e 97 Cost. Ormai l’Amministrazione non fa differenza fra evasione vera ed evasione presunta perché nella logica dei funzionari l’interesse tutelato è la massimizzazione del gettito per cui ben vengano tutti quegli strumenti che consentono di presumere maggiori redditi, ma questa è un’aberrazione con non può e non deve essere tollerata perché l’interesse tutelato “vero” è la legittimità della tassazione cioè lo Stato deve perseguire lo scopo di assicurare la tassazione sulla reale capacità contributiva dei contribuenti a prescindere dal “quantum”.

Troppe famiglie e troppe imprese sono state distrutte da diaboliche verità ideologico-presuntive! Chiedo scusa se mi soffermo su questi aspetti ma forse non tutti sanno che le presunzioni nascono, in Italia, con il Codice Napoleonico del 1804 che, agli articoli 1349 e segg., ne delinea la disciplina. In sostanza, quest’ultima non ha subito rilevanti modifiche fino ai giorni nostri ma, oggi, i contribuenti non vanno a dorso di mulo e le transazioni finanziarie sono tutte completamente trasparenti per la Pubblica Amministrazione per cui – con la stessa ideologia presuntiva utilizzata dall’Amministrazione – si può fondatamente sostenere che i maggiori imponibili presunti non possono che originare movimentazioni finanziarie per la maggior parte tracciabili dato che vi sono limiti all’utilizzo del contante non eludibili se non per piccoli importi. Ne conseguirebbe che se l’Amministrazione finanziaria non riesce a trovare le movimentazioni finanziarie è praticamente certo che i maggiori imponibili presunti non esistano! Non mi risulta, però, che nessun giudice o funzionario si sia mai posto il problema!

In ultimo, vi è una conseguenza ulteriormente maligna nella mancata distinzione fra evasione vera ed evasione presunta perché le due fattispecie, seppur diverse, vengono sanzionate entrambe allo stesso modo con l’effetto paradossale, nel caso di recupero di imponibili con utilizzo di presunzioni, di applicare sanzioni sulla base di dolo o colpa presunti.
Siamo, ormai, un popolo di presunti evasori…(sic)!


Daniele Brunelli
Consigliere ODCEC di Firenze

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