La riscossione provvisoria sembra violare l’effettività del diritto di difesa
Gentile Direttore,
la normativa vigente impone che la riscossione di un tributo non venga sospesa in pendenza di un ricorso in Commissione tributaria; gli atti emessi, per esempio, dall’Agenzia delle Entrate divengono esecutivi decorso il termine utile per ricorrere.
L’istanza di sospensione, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale (art. 47 del DLgs. 546/1992), alla Commissione tributaria, è certamente una possibilità per il contribuente ma va precisato, in tutta onestà, che la statistica è impietosa, essendo il petitum respinto nella grande maggioranza dei casi (il fumus boni iuris ed il periculum in mora non sono sempre semplici da provare), ed essendo i termini di fissazione dell’udienza di discussione della sospensiva piuttosto lunghi.
L’art. 15 del DPR n. 602/1973 dispone l’iscrizione a ruolo di un terzo delle maggiori imposte richieste.
L’iniquità della riscossione provvisoria è tanto più palese quanto più espone il contribuente a versare in anticipo una somma, spesso rilevante, con conseguenze deleterie per le proprie finanze e per la propria capacità di stare in giudizio, prima ancora che la controversia venga decisa anche solo in primo grado; la norma, per tutta evidenza, appare violare il principio della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.; contro gli atti della P.A. deve sempre essere ammessa la tutela giurisdizionale) e dell’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.; la difesa è un diritto inviolabile).
In un processo in cui le parti, il contribuente e l’Amministrazione finanziaria, sono e debbono essere formalmente e sostanzialmente alla pari ed assoggettate alle decisioni di un giudice terzo, imporre ex lege ad una sola delle due (il contribuente, nel caso di specie) di anticipare, sic et simpliciter, un importo all’Erario, è la prova di una profonda disparità di trattamento che impedisce, in molti casi, il libero accesso al giudice di prime cure, tenuto conto che non di rado, in fase precontenziosa a livello amministrativo, ad esempio durante la procedura di accertamento con adesione (DLgs. 19 giugno 1997 n. 218), l’Amministrazione finanziaria informa di questo “carico” possibile il contribuente.
Avviene così spesso che questi “si arrenda”, senza combattere con le armi giuridiche che l’ordinamento gli offre, solo ed unicamente per evitare un esborso immediato che ne danneggerebbe le finanze.
E neppure si potrebbe affermare che gli importi iscritti provvisoriamente a ruolo e versati all’Erario migliorino le condizioni del bilancio pluriennale dello Stato, tenuto conto che quanto incassato in via provvisoria, se soccombente il contribuente, costituisce un mero acconto sulle imposte dovute, se soccombente l’Erario, un debito di quest’ultimo verso il ricorrente; in un’ottica pluriennale, può pertanto considerarsi una partita di giro, un gioco a somma zero.
La Camera dei Deputati ha però all’unanimità impegnato il Governo, accogliendo le osservazioni del sottoscritto, dell’Avv. On. Andrea Delmastro Delle Vedove e della Fondazione italiana di giuseconomia, a valutare l’opportunità di individuare opportune soluzioni, anche di carattere normativo, volte a disciplinare la materia in un senso più equo nei confronti dei contribuenti, al fine di garantire che si possa attendere una pronuncia della magistratura tributaria che confermi l’attendibilità delle pretese dell’Amministrazione finanziaria prima che venga corrisposto alcun importo.
Ci si auspica così che il legislatore voglia fare un passo ulteriore verso la realizzazione di un vero e proprio Stato di diritto tributario.
Domenico Calvelli
Presidente del Coordinamento degli Ordini dei Commercialisti di Piemonte e Valle d’Aosta, dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella e della Fondazione italiana di giuseconomia
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