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PROTAGONISTI

De Nuccio: «Ridiamo dignità alla nostra professione»

Per il Presidente dell’Ordine di Bari bisogna lavorare per alzare la qualità della vita, non solo professionale ma anche personale dei commercialisti

/ Savino GALLO

Sabato, 23 gennaio 2021

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Due giorni fa, il Consiglio nazionale dei commercialisti ha consegnato al Ministero della Giustizia gli emendamenti al DLgs. 139/2005 con l’obiettivo di sbloccare lo stallo elettorale, senza attendere la definizione del ricorso a oggi pendente davanti al TAR. Una volta incassato il consenso di massima, le proposte verranno sottoposte agli Ordini territoriali, chiamate a sottoscriverle per rappresentare la compattezza della categoria attorno a questa iniziativa. Diversi Presidenti, anche attraverso Eutekne.info, si sono già detti favorevoli. Ieri lo abbiamo chiesto anche a Elbano De Nuccio, numero uno dei commercialisti di Bari nonché candidato alla Presidenza del prossimo Consiglio nazionale.

Presidente De Nuccio, sosterrà le richieste di modifica?
“Oggi è imperativo risolvere lo stallo elettorale in tempi rapidi e, a quanto sembra, qualsiasi soluzione non può che passare attraverso un percorso di carattere politico. Se le modifiche saranno utili in questo senso, non posso che essere favorevole”.

Anche sul tema della specializzazioni?
“Io sono sempre stato a favore delle specializzazioni e lo sono tuttora. Ritengo che siano un fattore critico di sopravvivenza ancorché di successo della nostra professione, perché il mercato e il contesto competitivo sono cambiati. Forse, però, andrebbero declinate in maniera differente rispetto a quanto è stato fatto finora”.

Cosa intende?
“Una specializzazione ha valore nella misura in cui consente di ottenere un riconoscimento che sia spendibile sul mercato, altrimenti si confonde con l’attività formativa che già facciamo. Le scuole di alta formazione sono partite senza questo riconoscimento giuridico, oggi rilasciano solo un attestato con non genera quid pluris”.

Però, i corsi erano fatti nell’ottica di un riconoscimento, magari futuro. Partire subito poteva essere anche una forma di pressione alla politica.
“Ma di fatto quel riconoscimento non c’è ancora. Si sarebbe prima dovuto ottenere quello e poi partire, invece si è scelto il percorso inverso. In ogni caso, questi primi anni si possono considerare come una palestra, che tornerà utile per modificare e migliorare lo strumento. I percorsi di specializzazione vanno resi più compatibili all’attività professionale, alla disponibilità di tempo e denaro dei professionisti e soprattutto non devono diventare un elemento che crei discriminazione all’interno della categoria. Noi ci dobbiamo preoccupare di tutti gli iscritti, anche di chi non ha 1.500 euro o 200 ore di tempo per un corso. Vanno strutturati in maniera diversa, abbattendo anche i costi, magari con il contributo del Consiglio nazionale”.

Lo stallo ha rallentato il progetto elettorale o state andando avanti?
“Non ci siamo mai fermati. Il nostro progetto parte da lontano e nasce da un confronto costante con i territori. Il canovaccio lo ha fornito lo splendido lavoro realizzato dal coordinamento interregionale di Piemonte e Valle d’Aosta, che poi è stato via via integrato con i contributi dei vari territori. Abbiamo provato a utilizzare un approccio bottom up, dal basso verso l’alto, per definire un programma che fosse il più possibile condiviso”.

Quali sono le parole chiave?
“Vogliamo migliorare i rapporti con la politica, lavorare su diversi ambiti professionali per creare nuove opportunità per i colleghi e sviluppare quelli che già rientrano nelle nostre competenze, come ad esempio l’area lavoro. L’obiettivo è ottenere anche dei riconoscimenti in termini di equo compenso ed esclusive. Non è un discorso di tipo corporativistico, c’è bisogno che il legislatore comprenda che il nostro è un ruolo di garanzia nei confronti dei clienti che si rivolgono a noi”.

In quali ambiti crede si possano ottenere delle riserve?
“Penso alla crisi d’impresa ma anche ai rapporti con l’Amministrazione finanziaria. Oggi abbiamo già delle prerogative di fatto, bisogna fare in modo che questo percorso sia codificato e visibile. Ecco, a noi manca la visibilità, qualcosa che faccia capire la differenza tra il nostro ruolo e quello che fanno gli altri. Oggi è per primo il legislatore a non comprendere il nostro ruolo, finendo col darci un riconoscimento solo a parole ma mai nei fatti”.

Come si ottiene un riconoscimento nei fatti?
“Passando da soggetti che vengono ascoltati solo ex post a professionisti che diventano dei veri e propri referenti tecnici quando c’è da definire le norme. Una delle nostre debolezze sta nel fatto che arriviamo con una proposta di tipo emendativo, o magari per una consultazione, ma sempre dopo. Il problema non è l’ascolto in sé, ma entrare nei tavoli tecnici, essere parte organica del percorso attraverso il quale le norme vengono realizzate. A Bari, ma anche in tanti altri territori, spesso ci siamo riusciti”.

Converrà che a livello nazionale è più difficile.
“Non lo metto in dubbio. Ma è un problema di approccio. Bisogna far capire alla politica che le proposte che portiamo avanti non sono di tipo corporativistico, ma che servono per risolvere questioni che riguardano tutti. E questo è un aspetto che incide anche sull’individuazione delle figure che dovranno far parte della squadra. È il momento di coinvolgere le figure migliori della nostra categoria e dobbiamo necessariamente implementare le nostre interlocuzioni anche attraverso una maggiore forza nella comunicazione”.

Ma così non si rischia di perdere la base, che invece una difesa corporativa la vuole?
“Quella sarà una conseguenza. Oggi non sei riconosciuto se ti metti sulla difensiva, rivendicando qualcosa che non hai. Bisogna prima diventare essenziali nei fatti quando ci sarà da definire le norme. Una volta entrati nelle istituzioni, la tutela della categoria sarà un effetto automatico e sarà molto più efficace”.

Prima ricordava che il vostro progetto elettorale parte da lontano. Nel tragitto, uno dei quattro grandi Ordini che lo trainavano (Roma) ha preso una strada diversa. Come ha reagito?
“Io penso che sia inutile guardare a cosa fanno gli altri, preferisco lavorare sul progetto e sugli obiettivi in un quadro che deve essere di condivisione partecipata. Anche perché la situazione attuale è difficile e i nostri colleghi fanno davvero fatica a capire le contrapposizioni. Questo non vuol dire annullare le differenze, ma ci impone di lavorare perché all’interno del Consiglio nazionale entrino le figure migliori della categoria. Sono lontano dalle logiche di accordi o di calcolo di interessi, ma non perché vivo nel mondo delle favole, più semplicemente non voglio essere condizionato da questi aspetti”.

Però la legge elettorale è questa, e se si vogliono vincere le elezioni gli accordi con chi “porta i voti” si devono fare.
“Certamente, ma questo tipo di accordi non deve in alcun modo mortificare qualità e competenza dei componenti della squadra, altrimenti non avremo mai una governance all’altezza di fronteggiare la sfida epocale che ci attende. L’accordo ci sta, ma l’adeguatezza viene prima. Per questo dico che il nostro è un progetto inclusivo ma non unitario, perché l’unità significa scendere a compromessi”.

Quindi niente lista unica?
“Attualmente non credo ci siano le condizioni”.

E se si trattasse di mettere “a fattor comune” alcuni punti, in modo da portarli avanti a prescindere dal vincitore, come proponeva il Presidente Moretta?
“Assolutamente condivisibile. Andando a sovrapporre i programmi elettorali, sono certo che ci saranno punti di contatto”.

Capitolo giovani, qual è la ricetta per farli riavvicinare alle professione?
“Recuperare il giusto equilibrio tra compenso, responsabilità e qualità della vita, non solo professionale ma anche personale dei colleghi. Dare dignità alla nostra attività significa anche alzare il livello della nostra qualità della vita, che negli ultimi anni è caduto davvero in basso. Per molti colleghi non esistono weekend, non esistono vacanze. La dignità passa anche per il ritrovamento di momenti di serenità che abbiamo completamente perso”.

Il problema del giusto compenso, secondo lei, è acuito anche dalla competizione sui prezzi interna alla categoria?
“Per questo l’equo compenso è fondamentale. Non è una rivendicazione, ma va visto nell’ottica di offrire un servizio di qualità al cliente. Il costo di una prestazione è indice di qualità. Allo stesso tempo, l’equo compenso sarebbe uno strumento deterrente per andare a limitare il dumping interno. Se c’è uno standard minimo, quando all’Ordine vengono segnalate delle pratiche che io ritengo deontologicamente scorrette sul piano della concorrenza, lo stesso Ordine potrà intervenire. Oggi non si può fare, nonostante ci si ritrovi in un mercato non liberalizzato ma cannibalizzato da una politica di prezzi al ribasso”.

Altro tema, quello della disciplina, che spesso viene utilizzato per sminuire la categoria. Si dice che le mele marce, che pure sono ovunque, non vengono punite nel modo giusto.
“Per quella che è la mia esperienza come Presidente dell’Ordine di Bari, il Consiglio di disciplina opera in maniera tempestiva e senza fare sconti a nessuno. Il problema è che ci sono alcuni aspetti che, pur essendo deontologicamente non corretti, non sono sanzionabili, perché non c’è appiglio normativo. Ciò che va fatto è un adattamento della norma al mutato contesto competitivo in cui ci troviamo ad operare”.

Sta dicendo che, dopo aver portato a casa le modifiche al 139 che dovrebbero sbloccare le elezioni, bisognerà comunque riaprire il cantiere della riforma?
“Io sono sempre stato critico sull’approccio alle norme fatto in maniera stratificata. Oggi c’è un’emergenza, portare avanti un emendamento strettamente funzionale a sbloccare lo stallo in cui ci troviamo è necessario. Ma ci sono carenze su tanti altri aspetti, che producono un’incapacità di reazione al contesto, con effetti anche sull’attività che svolgiamo tutti i giorni. Per questo, quando questo momento critico sarà passato, una riforma organica della nostra legge ordinamentale andrà fatta”.

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