Scelta del metodo di transfer pricing più appropriato alle circostanze del caso
L’uso dei metodi tradizionali spesso si scontra con difficoltà applicative legate alla loro marcata sensibilità a variazioni nei fattori di comparabilità
Le recenti sentenze, pubblicate nell’ambito della scelta del metodo di transfer pricing, arricchiscono un quadro giurisprudenziale allineato alla disciplina OCSE nella sua ultima evoluzione, i cui principi impongono la scelta del metodo più appropriato alle specifiche circostanze del caso, attraverso lo svolgimento di attente valutazioni delle condizioni di comparabilità.
L’abbandono della gerarchia dei metodi di transfer pricing, previsto dalle Linee Guida OCSE a partire dall’edizione del 2010, e poi confermato in Italia dal decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze del 14 maggio 2018, ha spianato la strada a un approccio fondato sulla valutazione caso per caso, superando i limiti che possono derivare dall’applicazione forzata di un metodo solo concettualmente più affidabile. Ciò ha permesso di identificare lo strumento maggiormente appropriato nella valutazione della congruità dei prezzi di trasferimento per ciascuna specifica situazione, aprendo all’uso dei metodi reddituali, prima limitati esclusivamente a situazioni eccezionali.
Nell’ambito della scelta del metodo più appropriato si è adottato un processo valutativo più ampio, ponendo maggiore attenzione sia alla corretta identificazione della transazione tra imprese associate, sia all’analisi di comparabilità. Tuttavia, l’evoluzione della disciplina OCSE non ha ridotto l’importanza dei metodi tradizionali, e in particolare del metodo basato sul confronto di prezzo, che rimangono preferibili, a parità di affidabilità, rispetto ad altri metodi.
In Italia, tale impostazione ha avuto conferme anche in ambito giurisprudenziale con, da ultimo, la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 15101 del 5 giugno 2025, che ha trattato il caso di una società italiana impegnata nella produzione di aeromobili, successivamente commercializzati dalla controllante svizzera. Nel caso di specie, l’Ufficio ha proceduto a verificare la non congruità dei prezzi di trasferimento al principio di libera concorrenza, mediante l’utilizzo del metodo del costo maggiorato (cost plus method). I giudici di primo e secondo grado avevano accettato il metodo del CUP proposto dai consulenti tecnici nominati in primo grado, in luogo del metodo previsto dai verificatori. Chiamata a esprimersi su detta questione, la Cassazione, pur confermando il principio generale che è volto a superare la preferenza o gerarchia tra i metodi proposti dall’OCSE, rammenta che permane un’implicita preferenza per i metodi tradizionali, e tra questi il metodo CUP (con l’onere per il contribuente di fornire le eventuali motivazioni alla base della sua inapplicabilità).
A differenza di quanto avveniva in passato, il principio ribadito dalla Suprema Corte deve essere, oggi, inquadrato in un contesto valutativo volto all’individuazione del most appropriate method, espresso al paragrafo 2.2. delle Linee Guida OCSE. Non bisogna, infatti, dimenticare che l’utilizzo dei metodi tradizionali spesso si scontra con oggettive difficoltà applicative legate alla loro marcata sensibilità a variazioni, anche minime, nei fattori di comparabilità, compromettendone l’affidabilità.
In tal senso, le sentenze della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia del 29 aprile 2025 (nn. 1130 e 1131) offrono una conferma pratica di quanto anticipato. Oggetto delle sentenze sono i prezzi di trasferimento applicati dalla società italiana nella cessione di capi di abbigliamento alle controllate statunitense e francese, rideterminati dall’Ufficio attraverso l’utilizzo del metodo del prezzo di rivendita, contestando il metodo del margine netto della transazione (TNMM) proposto dalla verificata.
La Corte, precisando che la selezione di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento debba essere volta a identificare il metodo che meglio si presta alle specifiche circostanze del caso, ritiene non idoneo il metodo del prezzo di rivendita selezionato dall’Ufficio nel caso di specie. I giudici sottolineano come la scelta del metodo di valutazione debba tenere conto, tra le altre circostanze, della natura dell’operazione con la parte correlata, della disponibilità di informazioni affidabili e del grado di comparabilità tra operazioni correlate e non. Il metodo del prezzo di rivendita, a differenza del TNMM, richiede un elevato grado di comparabilità tra il soggetto verificato e i comparabili identificati (distributori terzi) non soltanto in termini di prodotti ceduti, ma anche di funzioni, profilo di rischio e strategie impiegate.
Quanto espresso dalla Corte di Giustizia tributaria sottolinea, ancora una volta, le difficoltà applicative dei metodi tradizionali, che, di fatto, ne limitano l’applicazione pratica a un ridotto numero di casi.
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