La rinuncia abdicativa alla proprietà rischia di diventare più difficile
Il Ddl. di bilancio potrebbe limitare i possibili effetti sulla finanza pubblica dell’acquisto da parte dello Stato di immobili fatiscenti a seguito di rinuncia
Il disegno di legge di bilancio 2026 attualmente contiene, all’art. 129 commi 13 e 14, una disposizione che è destinata a produrre conseguenze sulla disciplina della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà come risultante dopo l’intervento delle Sezioni Unite di agosto 2025.
Si prevede, infatti, che l’atto di rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare, a cui consegue l’acquisto a titolo originario in capo allo Stato ex art. 827 c.c., sia nullo se non è allegata la documentazione attestante la conformità del bene alla vigente normativa, compresa quella urbanistica, ambientale, sismica.
Questo il contesto: da tempo è dibattuta tra gli interpreti la questione della possibilità, per il proprietario, di dismettere l’immobile senza interessarsi della sua destinazione e senza che venga acquistato da una controparte, con conseguente acquisto ex lege da parte dello Stato (art. 827 c.c.; non pone questioni di ammissibilità, invece, la rinuncia traslativa, che si inserisce in un contratto sinallagmatico, la quale trova giustificazione nella controprestazione e nel consenso altrui).
Anche in considerazione del fatto che l’interesse del proprietario a dismettere un immobile è legato, generalmente, a ragioni “egoistiche” (si pensi a chi, titolare di un edificio fatiscente, voglia liberarsene per non doverne curare la manutenzione o per non incorrere in responsabilità civile ex artt. 2051 e 2053 c.c.), la rinuncia abdicativa è stata ritenuta illegittima da alcuni, in quanto finalizzata a trasferire in capo all’Erario costi che dovrebbe sostenere il singolo, violando così l’art. 42 comma 2 Cost.
Sul punto è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite 11 agosto 2025 n. 23093, che ha sancito l’ammissibilità dell’atto in oggetto, osservando, tra l’altro, come la rinuncia alla proprietà immobiliare sia un atto essenzialmente unilaterale e non recettizio, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto, senza che rilevi la destinazione del bene e il suo contestuale, o successivo, eventuale acquisto da parte di altro soggetto.
Tale atto, inoltre, costituisce modalità di esercizio e di attuazione della facoltà di disporre della cosa che spetta al proprietario in base all’art. 832 c.c. Ne discende che la rinuncia alla proprietà immobiliare espressa dal titolare “trova causa”, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa, e non nell’adesione di un altro contraente.
Non costituisce un limite alla possibilità di rinuncia abdicativa neppure la funzione sociale della proprietà espressa all’art. 42 Cost., che non include il dovere di essere e di restare proprietario per motivi di interesse generale. La rinuncia abdicativa costituisce, dunque, una forma attuativa del potere di disposizione del proprietario che non è soggetta ad alcun limite di scopo.
Effetto riflesso di tale dismissione è l’acquisto del bene da parte dello Stato a titolo originario, in forza dell’art. 827 c.c., in base al quale i beni immobili “che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”.
La norma del Ddl. di bilancio, nel prevedere la nullità del suddetto atto di rinuncia qualora a esso non venga allegata la documentazione indicata, introduce uno specifico requisito di validità di tale negozio, non previsto per altri atti traslativi, che, di fatto, impedisce di rinunciare a immobili irregolari sotto i profili evidenziati dalla disposizione.
La Relazione tecnica ha precisato che si tratta di previsione volta a “contenere gli effetti negativi per la finanza pubblica derivanti dal trasferimento allo Stato di beni immobili che siano privi di valore commerciale o fatiscenti o abusivi oppure situati in zone pericolose o degradate o a rischio idrogeologico e i possibili costi per la manutenzione straordinaria oppure per l’abbattimento, che in situazioni di urgenza potrebbero gravare anche sui comuni”.
La disposizione, pure giustificata da esigenze di finanza pubblica, rischia, tuttavia, di rendere difficoltoso il ricorso a questo istituto, di fatto limitando di molto la portata della decisione della Cassazione.
Essa, infatti, oltre a escludere la possibilità di rinunciare a immobili irregolari, pone sul rinunciante un onere molto gravoso, quale quello di allegare la “documentazione attestante la conformità del bene alla vigente normativa” urbanistica, ambientale, sismica: egli, dunque, non può limitarsi ad “autodichiarare” la sussistenza dei requisiti richiesti (come prevede, ad esempio, l’art. 29 comma 1-bis della L. 52/85 per la conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie da inserire negli atti traslativi di immobili). Occorre anche comprendere cosa si intenda per “documentazione attestante la conformità del bene alla normativa”, che è un concetto che, se non ulteriormente specificato, risulta di difficile applicazione pratica.
Al momento, peraltro, due proposte di emendamento al Ddl. di bilancio chiedono di sopprimere proprio questa disposizione.
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