Prescrizione decennale per la riscossione dei tributi alla Consulta
Il sistema dovrebbe avvicinarsi alla logica prevista per i tributi locali e le sanzioni
Con l’ordinanza n. 221 (atto di promovimento) 19 settembre 2025, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Speciale – Corte costituzionale n. 47 del 19 novembre 2025, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 1661/11/25 ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale attinente all’art. 2946 c.c., applicato alla riscossione dei tributi erariali.
La questione viene sollevata anche nei confronti dell’art. 20 comma 6 del DLgs. 112/99, nella parte in cui l’ente creditore può, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, riaffidare in riscossione le somme non riscosse.
L’art. 2946 c.c. stabilisce: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
Le imposte sui redditi, l’IVA e l’IRAP soggiacciono alla prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. (Cass. 6 agosto 2024 n. 22267 e 9 febbraio 2007 n. 2941). In base a un orientamento oggi minoritario, si ritiene invece applicabile la prescrizione di cinque anni (Cass. 23 novembre 2018 n. 30362).
In caso di prestazioni periodiche continuative, ex art. 2948 comma 1 n. 4 c.c., opera la prescrizione quinquennale, come nel caso dei tributi locali (Cass. 15 giugno 2023 n. 17234 e 25 marzo 2021 n. 8405).
Secondo il giudice a quo tale disallineamento contrasta con il principio di uguaglianza e crea una disparità di trattamento fra imposte statali e locali, riconoscendo di fatto un tempo doppio all’amministrazione statale (art. 3 comma 1 Cost.).
Il termine decennale risulta altresì in contrasto con i principi di buon andamento e ragionevolezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
Sul punto la Corte mette in luce alcuni elementi fra loro eterogenei. Innanzitutto, l’introduzione, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, dei mezzi informatici, che ha annullato o ridotto i tempi di attesa per il compimento degli atti. Tale innovazione non può non apportare ricadute positive sui contribuenti, non potendosi lasciare in vita una norma (l’art. 2946 c.c.) entrata in vigore quando il primo computer di tipo commerciale non era stato nemmeno immaginato.
Viene altresì constatato il paradosso (e, quindi, la sussistenza dei vizi denunciati) per cui il tempo riservato all’accertamento (cinque anni) è la metà del tempo riconosciuto per l’attività di riscossione (dieci anni). Termine, aggiungiamo noi, che peraltro può essere interrotto.
A livello generale, poi, si assiste già da diversi anni a una tendenza ad accorciare i termini per il compimento di determinate attività. È stato dimezzato, ad esempio, il termine per il passaggio in giudicato della sentenza non notificata (da un anno a sei mesi) ed è stato ridotto il termine di efficacia della domanda di fissazione d’udienza nel processo amministrativo (da dieci a cinque anni).
Viene lamentata, infine, la violazione dell’art. 111 Cost., che assicura la ragionevole durata del processo. Pur avendo chiara la differenza fra processo e procedimento, non è ammissibile che il procedimento tributario non sia soggetto, anch’esso, a un criterio di ragionevole durata.
Il caso in esame riguarda imposte dell’anno 1999: dall’anno per il quale il contribuente era tenuto ai versamenti alla data di passaggio in decisione del ricorso in trattazione sono trascorsi 25 anni.
Quanto agli effetti derivanti dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, i giudici laziali ritengono che non vi possa essere alcuna conseguenza negativa per l’Erario per tutti i procedimenti pendenti alla data di pubblicazione della sentenza di accoglimento.
In generale, le sentenze di accoglimento hanno effetto erga omnes e, ai sensi dell’art. 136 Cost., la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, con effetto retroattivo (ex tunc).
Nel caso di accoglimento della questione, secondo i giudici remittenti, si aprirebbero i seguenti scenari: “L’accoglimento della questione di costituzionalità non incide in alcun modo sui diritti di credito che, alla data della pubblicazione della decisione, siano stati richiesti da un periodo superiore ai 5 anni; per questi diritti continuerà a trascorrere l’ulteriore periodo (inferiore ai 5 anni) fino al compimento del decennio. Per i diritti, per i quali, alla data di pubblicazione della decisione, non si sia compiuto un quinquennio, decorrerà l’ulteriore termine quinquennale, per un periodo complessivo inferiore al decennio”.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41