Sospensione della reversibilità prodromica alla revoca solo se effettiva
Non rileva la mera comunicazione della sospensione per omessa dichiarazione all’INPS dei dati reddituali
Con la sentenza n. 33054 di ieri, 18 dicembre 2025, la Cassazione si è pronunciata in materia di obblighi comunicativi previsti per i titolari di prestazioni previdenziali e assistenziali collegate al reddito, ai sensi dell’art. 35 comma 10-bis del DL 207/2008.
La controversia sorgeva in seguito al ricorso presentato nei confronti dell’INPS da parte di una pensionata, diretto a conseguire l’annullamento dei provvedimenti di ripetizione di indebito emessi sulle somme erogate a titolo di pensione di reversibilità del coniuge. Nel dettaglio, l’INPS aveva richiesto alla percettrice della misura di comunicare i dati reddituali relativi all’anno 2013 e, con un avviso del 6 ottobre 2015, aveva comunicato di aver disposto la sospensione della prestazione, con l’avvertenza che sarebbe stata operativa nel corso nell’anno 2016; nel medesimo avviso, l’ente previdenziale aveva invitato la pensionata a trasmettere le informazioni richieste entro il mese di febbraio 2016 per evitare la revoca, che sarebbe stata disposta entro 60 giorni successivi alla sospensione. In seguito, non avendo ricevuto le comunicazioni anzidette, l’istituto aveva disposto la revoca.
Sebbene in primo grado la revoca fosse stata ritenuta illegittima, e con essa la richiesta di ripetizione delle somme, a fronte della mancata sospensione effettiva della prestazione, ai sensi del menzionato art. 35 comma 10-bis, i giudici di seconde cure avevano emesso una pronuncia favorevole all’INPS: la Corte d’Appello aveva ritenuto che, dopo plurime comunicazioni inoltrate per sollecitare la pensionata all’adempimento, attendendo anche per un arco temporale superiore ai 60 giorni previsti dalla legge prima di inoltrare la comunicazione di revoca, la pensionata avrebbe dovuto sapere di non aver sanato la propria irregolarità all’ente.
Pertanto, la donna aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, come il dies a quo dei 60 giorni per disporre la revoca della prestazione dovesse identificarsi con l’intervenuta sospensione, elemento necessario e anteriore per procedere con la revoca; nel caso in esame, l’INPS aveva solo preannunciato la sospensione, per poi procedere alla revoca diretta della pensione.
Investiti della vicenda, i giudici di legittimità accolgono le doglianze della ricorrente.
La Corte premette, in primo luogo, come la pensione di reversibilità sia una prestazione collegata al reddito del beneficiario; in tal senso, ai fini della liquidazione o della ricostituzione delle prestazioni previdenziali e assistenziali connesse al reddito, il comma 8 dell’art. 35 del DL 207/2008 ha previsto che il reddito di riferimento sia quello conseguito dal beneficiario e dal coniuge nell’anno solare precedente. Da qui, il legislatore ha previsto che i titolari di tali prestazioni abbiano l’obbligo di dichiarare annualmente all’INPS i propri redditi rilevanti sulle prestazioni erogate, predisponendo, con il comma 10-bis, uno specifico apparato sanzionatorio che, come spiega la Corte, “merita un’interpretazione limitata, quanto più aderente al testo normativo”.
In particolare, la disposizione prevede che, “in caso di mancata comunicazione nei tempi e nelle modalità stabilite […], si procede alla sospensione delle prestazioni collegate al reddito nel corso dell’anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere resa. Qualora entro 60 giorni dalla sospensione non sia pervenuta la suddetta comunicazione, si procede alla revoca in via definitiva delle prestazioni […] e al recupero di tutte le somme erogate a tale titolo […]. Nel caso in cui la comunicazione dei redditi sia presentata entro il suddetto termine di 60 giorni, gli Enti procedono al ripristino della prestazione sospesa […]”.
A fronte di tale dato normativo, la Cassazione non ha dubbi nell’affermare che, per procedere alla revoca della prestazione, la sospensione debba essere effettiva, non valendo in tal senso la mera comunicazione della sospensione; pertanto, il termine di 60 giorni, previsto a pena di revoca della prestazione per trasmettere la comunicazione dei dati reddituali deve decorrere dall’effettiva sospensione. Secondo la Corte, infatti, la norma non menzionerebbe alcun “provvedimento di sospensione” o “comunicazione di sospensione”, non essendovi, a ben vedere, alcun riferimento alla fase formativa della volontà dell’ente, ma soltanto alla “sospensione”. Solo quest’ultima costituisce, quindi, l’atto prodromico alla revoca e al successivo recupero delle somme.
A deporre in tal senso, constatano i giudici di legittimità, è altresì la considerazione per cui la norma faccia riferimento al “ripristino della prestazione sospesa”, nel caso in cui la comunicazione sia presentata entro il termine di 60 giorni; il ripristino ha la funzione di riespandere un trattamento che sia stato effettivamente sospeso.
A fronte di ciò, la Corte accoglie il ricorso, cassando la sentenza impugnata: il giudice del rinvio dovrà attenersi ai principi di diritto così come enunciati.
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