Clausola «simul stabunt simul cadent» e ruolo di gestione per il Collegio sindacale
All’organo di controllo le decisioni sulle questioni che non possono essere differite
La clausola simul stabunt simul cadent è sempre più frequente negli statuti delle nostre spa e srl e chiama in causa, sotto vari aspetti, l’organo di controllo.
Essa prevede – allo scopo di rispettare gli equilibri nella compagine societaria e rendere più coesi i rapporti nel CdA – che alla cessazione di uno o più amministratori decada l’intero CdA.
Lo statuto può disciplinare in modo estremamente diversificato detta clausola. Ad esempio, può disporre che la decadenza dell’intero collegio valga solo per determinati tipi di cessazione; e quindi solo per dimissioni (di uno o più amministratori o della maggioranza del CdA), solo in caso di revoca, decadenza o decesso, oppure, come più frequentemente avviene, per qualsiasi causa di cessazione di uno o più amministratori. In presenza di detta clausola non sarà mai ammessa la sostituzione parziale degli amministratori dimissionari, essendo la clausola stessa antitetica rispetto al sistema della cooptazione (Trib. Milano 23 aprile 2018).
In caso di operatività della clausola, il Collegio sindacale è chiamato solo a verificarne la corretta applicazione. Anche qualora fosse applicata in modo “abusivo” – ossia al solo scopo di far cessare, attraverso dimissionari volontari poi rinominati, amministratori sgraditi alla compagine societaria – l’unico soggetto chiamato alle valutazioni del caso risulterebbe il competente Tribunale. A riguardo, tuttavia, si rileva come i Tribunali piuttosto raramente abbiano individuato l’abusività della clausola, riconoscendo al “cessato per trascinamento” il diritto al risarcimento del danno. Tale esclusione al risarcimento per l’amministratore cessato a causa della clausola in commento è stata avallata anche da due recenti sentenze della Cassazione che hanno ritenuto non dovuto il risarcimento del decaduto a seguito della clausola anche nei casi in cui ai revocati senza giusta causa il risarcimento era invece stato riconosciuto (cfr. Cass. nn. 14268/2025 e 1121/2025).
A prescindere dagli aspetti risarcitori, il Collegio sindacale deve porre particolare attenzione a come la clausola è costruita nello statuto della società, in quanto essa può essere congegnata, come in parte si è anticipato, in modo estremamente diversificato.
La prima situazione contemplabile dalla clausola è quella nella quale, alla cessazione di uno o più amministratori, la gestione della società resta transitoriamente agli amministratori in prorogatio.
In queste circostanze è da verificare se, a fronte della cessazione di uno o più amministratori, nella clausola si preveda la prorogatio fino a sostituzione dell’intero CdA (Trib. Milano 10 giugno 2008) o dei soli cessati. Nel primo caso, infatti, la gestione transitoria e la convocazione dell’assemblea resterebbe in capo all’intero CdA, mentre nel secondo spetterebbe ai soli “non” cessati.
Un ulteriore problema riguarda l’ipotesi in cui la clausola nulla preveda; in tale situazione il disposto normativo, avallato dalla giurisprudenza di merito (Trib. Torino 25 luglio 2022), fa ritenere in prorogatio esclusivamente gli amministratori non cessati (in tal senso anche la massima H.C.9 del Notariato triveneto). Va da sé che, in entrambi i casi, gli amministratori devono provvedere con urgenza alla convocazione dell’assemblea e, se essi non lo fanno, alla stessa dovrà provvedere il Collegio sindacale, chiamato in causa ai sensi dell’art. 2406 comma 1 c.c. Nella fase transitoria, peraltro, se lo statuto non prevede diversamente, si ritiene che la gestione del CdA (integrale o non cessato) sia una gestione completa e non limitata alla ordinaria amministrazione.
Una situazione particolare, subordinata a una previsione statutaria in tal senso, è quella in cui il comma 4 dell’art. 2386 c.c. rinvia alle disposizioni del comma 5 dello stesso articolo. È questa una delle rare ipotesi (l’altra è quella in cui viene meno l’amministratore unico) in cui il Collegio sindacale assume la gestione vicaria della società. Alla cessazione di uno o più membri del CdA, infatti, si verifica l’immediata cessazione dell’intero consiglio, senza cioè nessuna ipotesi di prorogatio. In questo caso, si determinerà il passaggio (temporaneo) dei poteri di gestione ordinaria in capo al Collegio sindacale e, quindi, anche il potere-dovere di convocare l’assemblea.
Nello stesso senso sono orientate le Norme di comportamento CNDCEC. Al riguardo la Norma 9.2 ritiene che l’ordinaria amministrazione della società – alla quale, secondo l’art. 2386 comma 5 c.c., deve essere limitata la gestione dell’organo sindacale – debba essere finalizzata alla conservazione del patrimonio e della continuità aziendale della società.
In considerazione dello scopo della norma, sembra corretto sostenere che il legislatore abbia inteso ricomprendere nel concetto di ordinaria amministrazione il complesso di decisioni che non possono essere differite (in attesa della nomina dei nuovi amministratori) senza compromettere la funzionalità dell’impresa e senza che la stessa venga a subire danni o sanzioni per l’assenza degli amministratori. In altri termini, la nozione di ordinaria amministrazione prevista dal comma 5 dell’art. 2386 c.c. può essere assimilata a quella di gestione corrente della società.
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