Per la bancarotta fraudolenta non serve un nesso causale tra distrazione e fallimento
La Cassazione ha esaminato un caso di interposizione fittizia nella fatturazione per far transitare risorse fuori dalle casse della società fallita
Con la sentenza n. 36278 depositata ieri, la Cassazione ha affrontato il tema della bancarotta fraudolenta per distrazione, consumata attraverso l’interposizione fittizia nella fatturazione di un soggetto straniero al fine di far transitare risorse verso l’estero, fuori dalle casse della società fallita, così da consentire il successivo incameramento dell’IVA, indebitamente compensata e non versata, e da creare fondi neri al di fuori del territorio nazionale.
Secondo la contestazione, e per quanto ritenuto in entrambi i giudizi di merito, i ricorrenti avevano interposto Alfa, società di diritto svizzero a loro riconducibile, dotandola di una rappresentanza fiscale in Italia, al fine di gestire e organizzare, col proprio personale e i propri mezzi, un sistema di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti, emesse dalla suddetta rappresentanza fiscale verso Beta spa, società che acquistava merce proveniente da società russe e polacche, a loro volta riconducibili al gruppo, che, apparentemente, fatturavano ad Alfa senza scontare l’IVA.
A sua volta Alfa, tramite la rappresentanza fiscale, fatturava le stesse merci a Beta, che faceva figurare il pagamento del corrispettivo e dell’IVA in capo alla suddetta rappresentanza; quest’ultima, incassato il corrispettivo della fattura, non versava il tributo in Italia e, successivamente, compensava il debito IVA con l’utilizzo di fatture passive per operazioni inesistenti o, in alternativa, non presentava le dichiarazioni tributarie. Il pagamento da parte di Beta veniva materialmente eseguito con bonifici su conto svizzero, intestato formalmente a Alfa, ma, in realtà, nella persistente disponibilità dei ricorrenti. Tali importi venivano poi distratti dagli stessi soggetti, amministratori di diritto di Beta e, di fatto, di Alfa, in danno dei creditori di Beta.
Tali condotte – riferite in sede di legittimità al solo art. 5 del DLgs. 74/2000 (“Omessa dichiarazione”) – sono state ritenute integrare un “sistema” fraudolento, congegnato dai ricorrenti per distrarre ingenti somme dalle casse della fallita Beta spa e quindi riconducibile, con giudizio condiviso dalla Corte, alla fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione della liquidità accumulata con il sistematico ricorso alle fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti – emesse da Alfa e ricevute da Beta spa – e sottratta alle garanzie creditorie.
Si tratta di un reato di “pericolo concreto”, in cui, ricorda la Corte, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare, con criteri ex ante, la ricerca di “indici di fraudolenza”, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa a garanzia dei creditori e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà di esporre in tal modo a pericolo gli interessi della massa dei creditori.
Poiché, per consolidato orientamento di legittimità, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento, essi assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza; d’altro canto, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass. n. 22474/2016).
Di conseguenza, ove l’atto di privazione patrimoniale sia perfezionato nell’ambito di un progetto criminoso – come avvenuto nel caso di specie, con la creazione di fondi neri da sottrarre alla garanzia dei creditori – per la Cassazione risulta non pertinente e comunque ininfluente addurre, al pari dei ricorrenti, un eventuale iato temporale tra il tempo dell’evasione tributaria e l’apertura della procedura concorsuale, ovvero le condizioni finanziarie dell’impresa o, ancora, la esistenza di “piani di sviluppo aziendale” al momento del, di per sé decettivo, drenaggio delle risorse.
Nel caso di specie, ad avviso della Suprema Corte, l’evidenza della condotta distrattiva, artatamente camuffata dall’interposizione fittizia e dalla falsa fatturazione, rappresenta essa stessa indice non equivoco della consapevolezza dell’autore di porre in essere una condotta concretamente pericolosa nei termini sopra indicati, essendo ben noto che la prova dell’elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato.
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