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FISCO

Registro fisso per la sentenza di condanna legata all’inesistenza del contratto

La restituzione delle somme pagate in esecuzione di un accordo senza effetti mira a ripristinare la situazione preesistente

/ Carmela NOVELLA

Martedì, 25 novembre 2025

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La Cassazione, con l’ordinanza n. 30706 depositata il 21 novembre 2025, ha affermato che la sentenza che dichiara l’inesistenza di un negozio giuridico e, per l’effetto, condanna una parte alla restituzione delle somme versate all’altra in esecuzione dell’accordo ritenuto inesistente, sconta l’imposta di registro in misura fissa ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. e) della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86.

Non è di ostacolo alla suesposta conclusione la circostanza che la norma in discorso sancisca testualmente la debenza del registro nella misura fissa di 200 euro in relazione ai provvedimenti giudiziari che “dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto”; con ciò sottraendoli dal perimetro applicativo dell’art. 8 comma 1 lett. b) della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86, ove si prevede, invece, l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale, con aliquota del 3%, sui provvedimenti dell’autorità giudiziaria “recanti condanna al pagamento di somme o valori”.

L’art. 8 comma 1 lett. e) della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86 è, infatti, suscettibile di un’interpretazione estensiva atta a ricomprendere non soltanto le statuizioni condannatorie che conseguono a una pronuncia dichiarativa della nullità o costitutiva dell’annullamento o della risoluzione di un contratto (o di un negozio giuridico), ma anche, per identità di ratio, le statuizioni condannatorie che accedono alla pronuncia dell’inesistenza e/o dell’inefficacia dell’atto negoziale: ciò che conta ai fini dell’operatività del regime impositivo dettato dalla disposizione in esame è la circostanza che la condanna abbia ad oggetto la “restituzione” dei vantaggi patrimoniali indebitamente conseguiti da una parte in esecuzione di un accordo nullo o inesistente. In tali ipotesi, viene evidentemente a mancare il presupposto dell’intervenuto trasferimento di ricchezza conseguente alla condanna su cui si fonda l’applicazione del registro in misura proporzionale ex art. 8 comma 1 lett. b) del DPR 131/86, essendo la pronuncia diretta al mero ripristino dello status quo ante.

I principi fin qui esposti, già fatti propri dalla precedente giurisprudenza di legittimità in relazione ai provvedimenti condannatori conseguenti alla dichiarazione di nullità parziale ovvero di simulazione assoluta del contratto (cfr. Cass. n. 16441/2025 e Cass. n. 4950/2024), sono stati riaffermati dall’ordinanza n. 30706/2025 in relazione ad una fattispecie assai peculiare.

Il caso di specie traeva origine da un accordo intercorso tra la società Alfa e la società Beta mediante il quale la prima si obbligava a cedere alla seconda un contratto di locazione finanziaria di un immobile stipulato, in veste di conduttrice, con la società Gamma (locatrice e proprietaria dell’immobile). In forza di tale accordo, espressamente qualificato dalle parti come patto di opzione ex art. 1331 c.c., la società Beta si riservava la facoltà di acquistare il contratto di locazione finanziaria entro un certo termine, nonché di prorogare il proprio diritto di opzione verso il pagamento di un importo ulteriore.

Nell’ambito di un contenzioso successivamente insorto tra la società Alfa e la società Beta in relazione al suddetto contratto, il giudice d’appello:
- riqualificava l’asserito patto di opzione ex art. 1331 c.c. in termini di cessione del contratto ex art. 1406 c.c.;
- dichiarava l’inesistenza del negozio di cessione del contratto ex art. 1406 c.c. per mancanza dell’elemento essenziale consenso del contrente ceduto (ossia, la società Gamma);
- condannava, conseguentemente, la società Alfa a restituire alla società Beta le somme indebitamente percepite in esecuzione del negozio inesistente e del tutto improduttivo di effetti.

In seguito, l’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente un avviso di liquidazione, richiedendo per l’atto giudiziario in questione il pagamento dell’imposta di registro calcolata con l’aliquota proporzionale del 3%, ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. b) della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86.
L’avviso di liquidazione veniva impugnato dalla contribuente sul rilievo dell’assoggettabilità della sentenza al regime impositivo dettato dal già richiamato art. 8 comma 1 lett. e) della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986.

Come anticipato, la tesi della ricorrente è stata accolta dalla Cassazione, la quale ha conclusivamente affermato che “il negozio mancante di uno dei suoi elementi essenziali (consenso della parte contraente alla cessione del rapporto contrattuale) non viene a giuridica esistenza e non può produrre alcun effetto, come accertato dalla Corte d’Appello, con la conseguenza che trova applicazione in questo caso il disposto dell’art. 8 comma 1 lett. e) della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986 per identità di ratio legis e simmetria di causa negoziale”.

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