ACCEDI
Sabato, 27 dicembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

IMPRESA

Dividendi ai soci solo se lo decide l’assemblea

Il Tribunale di Milano esclude attribuzioni automatiche in assenza di differenti destinazioni degli utili

/ Maurizio MEOLI

Sabato, 27 dicembre 2025

x
STAMPA

download PDF download PDF

Il Tribunale di Milano, nell’ordinanza del 6 febbraio scorso, si è pronunciato sulla corretta interpretazione della seguente clausola statutaria: “gli utili netti, dopo prelevata una somma non inferiore al cinque per cento per la riserva legale, fino al limite di legge, vengono attribuiti alle azioni, salvo che l’assemblea, su proposta del Consiglio, deliberi degli speciali prelevamenti a favore di riserve straordinarie o per altra destinazione, oppure disponga di mandarli in tutto o in parte al successivo esercizio”.
Si precisa come essa non possa configurare un automatico diritto dei soci alla distribuzione degli utili appostati al bilancio di esercizio ove l’assemblea non ne deliberi una specifica destinazione. Così ragionando, infatti, si renderebbe superflua la delibera assembleare che destini, con effetto devolutivo, gli utili a dividendi; laddove, di contro, resta ferma l’inderogabile necessità di essa, in quanto funzionale a trasformare il diritto proprietario della società in diritto particolare del socio alla distribuzione degli utili.

Nella clausola ricordata, quindi, è da ravvisare solo un maggior favore verso la distribuzione degli utili quale riflesso di un aggravamento dell’onere motivazionale nel caso in cui l’assemblea dovesse decidere di reinvestirli.
Per giungere a questa conclusione i giudici milanesi ricordano come il progetto di bilancio debba essere redatto dagli amministratori e come agli stessi sia riconosciuta anche la competenza alla formulazione di una proposta di destinazione degli utili conseguiti.

A fronte della competenza rispetto alla proposta, resta però affidata inderogabilmente all’assemblea dei soci sia l’approvazione del bilancio che la deliberazione concernente l’effettiva distribuzione degli utili. In pratica, l’assemblea ha il potere di approvare la proposta, rigettarla o modificarla (modifica che, come precisato dal Caso Assonime n. 5/2023, non renderebbe necessario né modificare la proposta né riapprovare il bilancio).

Alla base di tale affermazione si pone il primo comma dell’art. 2433 c.c., ai sensi del quale “la deliberazione sulla distribuzione degli utili è adottata dall’assemblea che approva il bilancio...”. Si tratta di una norma di natura imperativa (quindi inderogabile statutariamente) che tende ad assicurare la prevalenza dell’interesse della società, dei suoi creditori e degli altri soci al perseguimento dell’oggetto sociale rispetto a quello, individuale ed egoistico, del singolo socio alla propria soddisfazione economica.

A tale interesse è da riconoscere un rango inferiore rispetto a quello della società al miglior esercizio della propria attività. Tra questi due differenti interessi si colloca la delibera assembleare, che costituisce lo spartiacque tra il concetto di utile e quello di dividendo.
Infatti, l’accertamento del conseguimento dell’utile, attraverso l’approvazione del bilancio, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per l’insorgenza del diritto al dividendo. A tal fine occorre un’ulteriore statuizione dei soci, ai quali spetta valutare se reinvestire l’utile conseguito – che costituisce una componente del patrimonio netto sociale – o distribuirlo, totalmente o parzialmente, tra gli stessi soci sotto forma di dividendo, fermo restando il limite della buona fede e del divieto di abuso da parte della maggioranza a danno della minoranza.

Ciò, d’altra parte, connota la disciplina in esame rispetto a quella dettata per le società di persone, dove il diritto al dividendo si acquista automaticamente con l’accertamento del risultato positivo; posto che l’art. 2262 c.c. subordina l’insorgenza del diritto del socio alla percezione degli utili alla sola approvazione del rendiconto (cfr. Cass. n. 11223/2021).
Si spiega, così, anche il motivo per il quale prima della deliberazione assembleare il socio sia titolare non di un diritto al dividendo, che sorge solo in seguito alla relativa statuizione dell’assemblea, ma di una mera aspettativa alla distribuzione dell’utile conseguito (cfr. Trib. Roma n. 907/2023).

Si è parlato anche di diritto al dividendo come fattispecie a formazione progressiva, perché sorge solo dopo la chiusura dell’esercizio sociale, la registrazione di eventuali utili, l’approvazione del bilancio e la decisione di distribuzione ai soci (cfr. Trib. Roma n. 7984/2023).

A questi momenti, peraltro, i giudici milanesi sembrano aggiungere quello esecutivo, come emerge dal confronto tra il primo e il secondo comma dell’art. 2433 c.c., che, nell’uno, attribuisce all’assemblea la competenza in materia di distribuzione degli utili e, nell’altro, precisa che i dividendi possono essere pagati solo se realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato.

A ogni modo, conclude la decisione in commento, il diritto del socio di società di capitali al dividendo è sottoposto a una duplice condizione:
- l’utile deve risultare dal bilancio di esercizio regolarmente approvato dall’assemblea dei soci;
- l’assemblea dei soci deve deliberarne la distribuzione.
In tal modo si neutralizza il rischio che un automatico riconoscimento del diritto al dividendo in capo ai soci alteri l’equilibrio dei poteri tra organo amministrativo e organo assembleare.

TORNA SU