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EDITORIALE

Quei preconcetti duri a morire

/ Enrico ZANETTI

Giovedì, 11 marzo 2010

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Lo scorso 9 marzo, il Corriere della Sera ha dedicato due pagine ai dottori commercialisti ed esperti contabili italiani, con tanto di attacco in prima pagina del pezzo principale del reportage.
Tra i tanti temi affrontati, il prestigioso quotidiano dava particolare risalto a quello che emergeva dalle dichiarazioni sul tema del fisco rilasciate del Presidente nazionale, Claudio Siciliotti, in risposta alle sollecitazioni dei curatori del reportage sul ruolo del commercialista nel sempre difficile rapporto tra Erario e contribuente.

In particolare, nell’articolo, Siciliotti, oltre a rigettare i consueti stereotipi che vogliono il commercialista come l’artefice dell’evasione del suo cliente, rilanciava affermando che i commercialisti italiani potrebbero anzi svolgere anche in ambito tributario ruoli assai pregnanti a tutela del pubblico interesse rappresentato, nel caso di specie, dal puntuale adempimento dell’obbligazione tributaria da parte dei propri clienti (puntualità che, ovviamente, non prescinde certo da legittime valutazioni di pianificazione volte a minimizzarlo, nel rispetto delle regole).
D’altro canto, questo ruolo di tutela del pubblico interesse i dottori commercialisti ed esperti contabili italiani lo svolgono già in numerosi altri ambiti.

Il punto è però che, per svolgere tale ruolo, è necessario che lo Stato attribuisca tali compiti, accompagnando le gravose responsabilità che ne conseguono a logici riconoscimenti per i soggetti così obbligati.
Proprio per questo, Siciliotti concludeva che, stando così le cose, ossia con un’attività di consulenza tributaria lasciata nel novero di quelle esercitabili da chiunque, non si può certo chiedere ai commercialisti italiani di assumersi responsabilità per ruoli che in realtà non esistono.

Al di là di queste pur pregevoli considerazioni, quello che risulta davvero interessante è la reazione che esse hanno generato in molti lettori del Corriere della Sera.
È infatti particolarmente istruttivo leggere gli interventi di commento che si stanno succedendo sull’apposito blog aperto sul sito internet del Corriere della Sera.
Non si scopre certo oggi che i commercialisti italiani sono visti da ampi pezzi del resto del Paese come una casta di privilegiati che ha come unico scopo quello di aiutare i propri clienti a frodare il fisco e, al tempo stesso, di mantenere il sistema tributario su livelli di complessità inarrivabile, così da lucrare al meglio la loro ricca rendita di posizione.
Eppure, lascia ogni volta basiti toccare con mano quanto diffuso sia il preconcetto.

La colpa è anche nostra.
Per troppo tempo non siamo stati capaci di comunicare all’esterno il nostro ruolo e il nostro desiderio di essere parte sociale della società civile, prima ancora che freddi tecnici paracadutati da Marte sulla terra.
Per recuperare il tempo perduto non basta però soltanto qualche pubblicità sui giornali e qualche passaggio televisivo di chi rappresenta la Categoria a livello nazionale e locale.
Serve la presenza concreta di tutti, ciascuno con le sue storie e le sue idee di cittadino interessato al buon funzionamento del Paese, prima ancora che di professionista interessato unicamente al buon andamento del suo studio.
Magari cominciando proprio con un commento lasciato su quel blog.

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