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OPINIONI

L’etica non si discute, ma non possiamo anticipare i giudici

Intervento di Giorgio Sganga, segretario del CNDCEC, a seguito del dibattito sulla professione avviato con l’editoriale del 18 giugno

/ Giorgio SGANGA

Martedì, 22 giugno 2010

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Pubblichiamo l’intervento del segretario del CNDCEC a seguito dell’editoriale di Enrico Zanetti del 18 giugno.

Fra i tanti difetti che imputano alla mia persona ce ne è uno, che comunque a mio avviso non è tale, quello di “accettare le provocazioni”. Sin da piccolo non ho mai lesinato scontri, ed a volte anche duri, per rispondere a provocazioni di vario tipo da quelle più futili che riguardavano rivalità sportive a quelle politiche, considerabili, almeno fino a qualche tempo fa, serie. L’appartenenza, ieri come oggi, mi spinge sempre a dire la mia, onde evitare che possa essere considerato diverso da quello che sono, ed è in questa’ottica che ritengo giusto non solo accettare, ma anche rispondere alle provocazioni. Enrico Zanetti, con l’editoriale pubblicato su Eutekne.info il 18 giugno 2010, ha lanciato una provocazione che è difficile o addirittura impossibile, per uno come me, non raccogliere. Zanetti, anche se con piglio corretto e delicato, ma con identica fermezza evidenzia l’annoso problema “dell’essere o non essere”. Essere commercialisti, purtroppo, non corrisponde sempre all’essere una persona per bene, così come essere commercialisti non significa sempre essere deontologicamente corretti e fare dell’etica una propria direttrice di vita non è essere automaticamente commercialista. So bene che mi si potrebbe subito opporre un difetto di generalizzazione nel mio dire, ma è altrettanto vero che dal generale si può arrivare al particolare e di conseguenza analizzare il particolare per risalire alla giustezza di quel generale che deve essere fonte di guida dopo un apprendimento consapevole. La fattispecie evidenziata dall’editoriale, commercialisti coinvolti in un presunto giro di tangenti in quel di Vicenza, ci obbliga a riflettere, e non poco, nella certezza che, purtroppo, non si tratta di casi isolati. Commercialisti coinvolti con i loro clienti e/o per i loro clienti ce ne sono in ogni Regione d’Italia e registrare una non novità non può che farci del male. Il rimedio al male, per quanto mi riguarda, parte da quell’appartenenza che mi fa sentire orgoglioso di essere commercialista e nel contempo mi obbliga però a far sì che questa immagine non venga offuscata da episodi di malcostume. L’etica, secondo la definizione filosofica rappresenta “la disciplina che si occupa di considerare e valutare l’insieme degli atti che costituiscono la condotta, nonché l’agire dell’individuo”. L’etica professionale è l’insieme dei doveri inerenti all’esercizio di una determinata professione e quindi deontologia. Grosso problema è valutare se un comportamento è tale da infrangere il senso del buon comportamento, della buona amministrazione e dell’essere un buon professionista. L’episodio citato può da qui a molti anni essere anche retrocesso ad un fraintendimento di questo o di quell’ investigatore e/o a coinvolgimenti di altro tipo, il che ci porta ovviamente ad essere cauti nell’esprimere giudizi di condanna; se questo però è, sarebbe impossibile assumere provvedimenti disciplinari in assenza di decisioni definitive.
L’appartenenza ed il conseguente coraggio di assumere posizioni chiare alcuni anni addietro mi hanno portato a non difendere pubblicamente, diversamente da altri autorevoli colleghi, un commercialista nel momento in cui è stato arrestato per un presunto fraudolento finanziamento pubblico. Alcuni mesi addietro questo stesso collega, che a distanza di alcuni anni dall’episodio citato è stato assolto, ha scritto al presidente Siciliotti per lamentare il comportamento da me tenuto in quell’occasione; eppure mi ero solamente limitato a dire che chi sbaglia deve pagare, specie se iscritto al nostro Albo professionale. I tempi degli organi investigativi e giudiziari sono così lunghi da non consentirci di avere certezze nell’immediato e questo complica, e non poco, la nostra attività disciplinare. Francamente sostituirci all’investigatore e/o al giudice mi sembra troppo ed anticiparlo è estremamente pericoloso. Il problema però rimane: certi episodi valgono in negativo pagine e pagine di pubblicità in cui si dice che il commercialista è utile al Paese. Cosa fare, come e quando agire deve essere dibattuto. Nonostante i nostri sforzi l’opinione generalizzata è che il commercialista aiuta a far pagare meno tasse possibili e tanto più si è bravi quanto più si riesce a far pagare meno tasse, a ben poco conta sapere quanto sia doveroso pagare le tasse. Sarebbe probabilmente utile al Paese fare quattro conti per dire al nostro cliente che deve pagare quell’importo, e che non deve chiedere scorciatoie, così come a noi non è consentito di chiedere al nostro potenziale cliente di servirsi del nostro studio perché più “capace” di un altro studio a far pagare meno tasse. Il come, spesso, diventa secondario di fronte al valore negativo dell’etica. Mentre Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, al pari di tanti altri pur valenti giornalisti, continuano ad identificarci casta e prevaricazione, a me piace cogliere le provocazioni di Zanetti e le sfide di “terzismo” lanciate da Dario Di Vico. Non ho quindi alcuna contrarietà ad intentare cause pilota nei confronti di questo o quel collega, né tanto meno a differenziarmi da chi professionista non è. Bisogna però avere la convinzione di essere dalla parte giusta, volare alto solo quando si ha la certezza di saper volare a bassa quota e fare dell’etica professionale una ragione di vita.

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