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LETTERE

Meglio la vecchia imposta sul patrimonio netto che una «patrimoniale spezzatino»

Giovedì, 12 gennaio 2012

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Caro Direttore,
ho cambiato idea.

All’inizio del 2011 ti scrissi per esprimere la mia contrarietà alla proposta di introdurre un’imposta patrimoniale, perché avrebbe ulteriormente elevato la pressione fiscale in assenza di una corrispondente riduzione sia dell’imposta sui redditi da lavoro, sia di una riduzione delle inefficienze e degli sprechi della spesa pubblica (si veda “Per l’imposta patrimoniale servirebbe un sistema fiscale più serio”). Eppoi, come diceva Einaudi, l’imposta patrimoniale “è un premio per gli scialaquatori... ed è una multa per i lavoratori ed i risparmiatori” e, come ha evidenziato recentemente la Commissione europea (Tax Reform in Member States, Bruxelles, 2011), scoraggia il risparmio e gli investimenti e, quindi, nel lungo periodo, penalizza la produttività e la crescita (di cui abbiamo così tanto bisogno).

Ora, però, è stata introdotta la “patrimoniale spezzatino” o “patrimoniale all’italiana”: si compendia in più balzelli (su auto di lusso, imbarcazioni e aerei; su conti correnti, titoli e strumenti finanziari; sulle attività finanziarie all’estero; sugli immobili all’estero; sugli scudi fiscali finanziari) che colpiscono alcune attività (e non altre), di alcuni contribuenti (e non di altri), assolutamente al lordo di qualsivoglia passività. Di fronte a questa “imposta spezzatino”, sono diventato un sostenitore dell’imposta generale sul patrimonio, quella seria, che tassa ad un’aliquota moderata il patrimonio netto del contribuente, sommando tutte le sue attività e detraendo tutte le sue passività. Quando c’era il diritto tributario (si veda “C’era una volta il diritto tributario”), si studiava che, in base ai principi di eguaglianza e capacità contributiva, a situazioni eguali doveva corrispondere un’imposta eguale e a situazioni diverse si doveva tassare in modo diverso. Ma tale regola, ovviamente, per la “patrimoniale spezzatino” non vale più. Ecco alcuni esempi.

Sugli immobili da chiunque posseduti in Italia abbiamo l’IMU, che serve a finanziare i servizi erogati a livello locale (ad eccezione dei rifiuti per i quali è prevista un’imposta a parte), la cui base imponibile è forfettaria e costituisce, in pura teoria, un rozzo surrogato del valore corrente dell’immobile: la rendita catastale (valore ormai arbitrario) moltiplicata per dati coefficienti (altrettanto arbitrari). La sua giustificazione è basata più sulla teoria del beneficio (i predetti servizi locali di cui il proprietario immobiliare gode), che non sulla capacità del titolare dell’immobile a contribuire alla fiscalità generale, e quindi non è una “patrimoniale” in senso stretto. All’estero, tali servizi locali sono finanziati con imposte similari; ad esempio, in Francia, vi sono l’imposta fondiaria e la tassa di abitazione, che non sono parimenti imposte “patrimoniali”, giacché esiste altresì, al superamento di certe soglie, un’imposta generale sul patrimonio.

Sugli immobili all’estero abbiamo un’imposta veramente patrimoniale (perché l’Italia non eroga alcun servizio a loro beneficio), ma essa si applica solo alle persone fisiche e non agli altri soggetti. In più, la base imponibile è costituita – sostanzialmente a scelta del contribuente – dal costo storico o dal valore di mercato (della serie “fate voi”). Essa si aggiunge ai tributi esteri similari all’IMU e da essa può essere detratta soltanto l’eventuale imposta sul patrimonio pagata nello Stato estero. Ancora, mentre l’IMU sulle residenze secondarie italiane assorbe l’imposta sul reddito, la patrimoniale sugli immobili esteri non assorbe l’imposizione diretta in Italia del reddito catastale estero. Effetti: tassazione con un’imposta davvero patrimoniale degli immobili esteri, che si aggiunge ai tributi esteri per servizi, con evidenti effetti discriminatori (maggiore tassazione complessiva patrimoniale e reddituale degli immobili esteri rispetto a quelli italiani,) ed evidente violazione degli artt. 3 e 53 Cost. e della libera circolazione dei capitali; corsa dei contribuenti a trasferire gli immobili a soggetti diversi dalle persone fisiche; lavoro per i commercialisti per fare istanze di rimborso, contenzioso (con domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE) ed operazioni di trasferimento degli immobili esteri in capo a soggetti non colpiti (es. società semplici).

Poi vi è l’imposta sulle attività finanziarie: per quelle italiane, l’imposizione (di bollo) colpisce soltanto i prodotti e strumenti finanziari; sono quindi escluse, ad esempio, le partecipazioni in società italiane, non quotate o comunque non depositate presso intermediari. Viceversa, per le attività finanziarie estere, la tassazione (patrimoniale) colpisce solo le persone fisiche e si estende alle partecipazioni in società estere. Effetti: violazione dei soliti art. 3 e 53 Cost., del principio di libera circolazione dei capitali e, se vi sono partecipazioni estere di controllo in società UE, della libertà di stabilimento; corsa dei contribuenti a trasferire a soggetti diversi dalle persone fisiche le attività finanziarie estere; lavoro per i commercialisti per fare istanze di rimborso, contenzioso ed operazioni di trasferimento delle attività finanziarie estere in capo a soggetti non colpiti.

Vi è poi la patrimoniale sui capitali scudati, sulla quale, per carità di patria, non formulo considerazioni (ma mi riservo di scriverti in futuro una letterina sulle implicazioni deontologiche di tale tributo), salvo evidenziare come essa colpisca solo le attività finanziarie, ma non altre attività estere regolarizzate o rimpatriate. Non è un’imposta fatta per “punire” chi ha scudato, perché colpisce solo gli scudi delle attività finanziarie e non quelli di altre attività, come gli immobili. Non è un’imposta fatta per colpire la secretazione, giacché – quantomeno nell’imposta straordinaria per il 2011 – si tassano tanto i capitali rimpatriati (e quindi secretati) quanto quelli regolarizzati (e quindi non secretati). In tutto questo marasma impositivo, si pensi che, a parità delle altre condizioni, chi ha attività (finanziarie o immobiliari) colpite da uno di questi nuovi balzelli, senza passività (ossia attivo = patrimonio netto) è tassato allo stesso modo di chi ha invece debiti a fronte di queste attività (ossia attivo – passivo = patrimonio netto), sempre in onore degli artt. 3 e 53 Cost.

Adesso, un esempio: Tizio è socio unico di una srl che ha all’attivo prodotti finanziari esteri e immobili esteri, che valgono milioni di euro; quanto paga per la “patrimoniale spezzatino”? Nulla. Caia, che fa la colf ed ha la sua vecchia la casa in Ecuador, e con il suo stipendio sta pagando il relativo mutuo, pagherà certamente più di Tizio.

Ma non possiamo dimenticare la tassa annuale di stazionamento delle barche, detta anche “tassa scappa-barche”, perché colpisce le barche, di italiani e di stranieri, che stazionino in porti italiani o navighino in acque italiane: un ottimo sistema per far crollare il PIL prodotto dai porti turistici e del relativo indotto, con i proprietari di barche che gireranno ben al largo dell’Italia. Né possiamo dimenticare l’addizionale per le auto di lusso, detta “tassa scappa-auto”, che farà cadere il PIL prodotto da tutta la rete distributiva (italiana) delle auto potenti (italiane ed estere). O l’imposta sugli aerei, detta anche “tassa toccata e fuga” giacché, oltre agli aeromobili italiani colpisce anche quelli immatricolati all’estero, quando sostino in Italia per più di 48 ore.

Qualcuno aveva detto che chi ha di più deve dare di più (e magari il punto meriterebbe qualche ulteriore riflessione), qualcun altro ha invocato l’equità, tutti vogliono la crescita; ma allora, piuttosto che la “patrimoniale spezzatino” (discriminatoria, iniqua e recessiva), le cui previsioni di gettito sono scritte sulla sabbia (per l’evitabilità e/o illegittimità dei tributi) preferisco la vecchia imposta generale sul patrimonio netto dei contribuenti. Per questo ho cambiato idea e, in alternativa alla patrimoniale, sono diventato anche un fervente sostenitore del testatico, del focatico, della tassa sulle finestre, e simili, che, forse, sono altrettanto eque ma fanno meno danni.


Stefano Marchese
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Genova

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