E se rispolverassimo le esclusive?
Caro Direttore,
“apro le danze” con una voluta provocazione, rispetto alla tua sollecitazione intesa ad aprire un dibattito all’interno della categoria all’indomani della nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (si veda “Dalle Sezioni Unite la rivincita dei commercialisti” del 24 marzo 2012).
La sentenza è indubbiamente interessante anche se, dal punto di vista squisitamente tecnico, innova, estende ma non chiarisce (né avrebbe potuto, probabilmente, farlo) in maniera decisiva. Essa fa il punto sul concreto esercizio abusivo di una professione, quando le attività siano univocamente individuate come di competenza specifica di una professione regolamentata, costituendo una “riserva” collegata allo svolgimento di prestazioni per le quali – normativamente – è richiesta una determinata abilità tecnica che deve essere riconoscibile dai terzi.
A nulla vale il fatto che manchi un’attribuzione in via esclusiva. Ciò che è preminente si risolve nella constatazione che ai dottori commercialisti e agli esperti contabili è attribuita dal legislatore una “riserva” di competenza tecnica in determinate materie, frutto di una qualifica riconosciuta attraverso l’esame di Stato, previsto dall’art. 33 Cost.
Peraltro, anche in ambito comunitario, la Direttiva sulle qualifiche professionali (2005/36/CE), precisa (art. 2) che, per professione regolamentata, si deve intendere una “attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali; in particolare costituisce una modalità di esercizio l’impiego di un titolo professionale riservato da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative a chi possiede una specifica qualifica professionale”. Proprio il recente dibattito in cui ho avuto modo di portare il pensiero di AIDC (Bruxelles e Palermo) ha evidenziato come occorra fare un doveroso distinguo tra l’esercizio di una professione regolamentata e le “altre attività di lavoro autonomo”.
La qualifica professionale e, ovviamente, il mantenimento della stessa, costituisce una fondamentale garanzia per il consumatore, sia esso impresa o persona fisica, atteso che i servizi sono prestati in un quadro regolamentato non solo a tutela dei consumatori stessi ma, altresì, di un interesse generale costituzionalmente rilevante. Il titolare dell’interesse protetto è, quindi, soprattutto lo Stato, e l’eventuale consenso del privato destinatario della prestazione professionale abusiva non può avere valore scriminante.
La differenza tra una professione regolamentata, che impone comportamenti etici, applicazione di codici (deontologici e disciplinari) e la garanzia per rischi professionali, è abissale rispetto a prestazioni svolte da chi non ha le prescritte qualifiche di base, non è soggetto ad alcun controllo e non rischia l’estromissione dall’attività per gravi errori commessi.
Per questo motivo non è quindi possibile, né credibile, porre sullo stesso piano attività svolte da liberi professionisti in ambito regolamentato e “le altre attività di lavoro autonomo o d’impresa”, proprio in virtù della qualifica, della formazione, dell’aggiornamento e del rispetto delle regole.
Credo allora che il tuo invito, giustamente, alludesse ad un uso “politico” della richiamata sentenza.
Ecco quindi che un’interpretazione dinamica della stessa ci potrebbe portare a concludere che agli iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili vada riconosciuta un’esclusiva tecnica in considerazione di specifiche competenze acquisite attraverso un percorso formativo e il mantenimento mediante un costante aggiornamento, che ne qualifica l’idoneità a svolgere quelle determinate attività enunciate dal DLgs. n. 139/2005.
Questo il primo passo, su cui tutte le componenti della categoria dovrebbero lavorare, anche mediaticamente, insieme.
Rompiamo il nostro tradizionale riserbo, enfatizziamo e rilanciamo gli aspetti innovativi della sentenza ma, soprattutto, non lasciamo alle associazioni delle attività non regolamentate (vedi Lapet) il monopolio dell’interpretazione (peraltro assolutamente non condivisibile) della stessa.
Ad ora il nostro silenzio di categoria mi preoccupa molto.
Permettimi però, sulla scia di questo ragionamento, di affrontare un’altra “spina” della nostra professione, quella del titolo.
Credo che, forse giustamente preoccupati della modalità migliore per rispettare le varie esigenze, all’indomani dell’unificazione tra dottori commercialisti e ragionieri collegiati si sia cercato semplicisticamente di risolvere la questione del titolo promuovendo ed esaltando il termine generico di “commercialista”. Nulla di più sbagliato. Si è trattato di un compromesso al ribasso, soprattutto per i giovani, anche in funzione del ragionamento fin qui svolto. Penso invece che quell’esclusiva e quella competenza tecnica sia, nei confronti dell’opinione pubblica, molto meglio valorizzata riappropriandoci dei nostri “affettivamente cari” titoli, peraltro definiti dalla legge di unificazione di Dottore Commercialista e Ragioniere Commercialista e, credimi, non è assolutamente una sollecitazione di parte.
Infine, un accenno su un altro tema che non è stato affrontato, o non si è voluto affrontare (perché?), nel recente dibattito e cioè quello della liberalizzazione di alcuni servizi professionali nell’ambito di professioni regolamentate.
Atti od operazioni svolte da professionisti, che operano nell’ambito di più professioni regolamentate, gioverebbero al mercato perché svolte in regime di competenze concorrenti, con benefici effettivi sui costi di compliance per aziende e privati, senza detrimento della qualità delle prestazioni stesse.
È un passo in avanti per marcare in modo ancor più riconoscibile la garanzia del pubblico interesse di cui siamo interpreti attivi. Invece di demonizzare le professioni e i professionisti, cerchiamo di concentrare l’attenzione su progetti di riforma concreti e utili sia alla collettività sia allo Stato. Noi siamo qui, pronti al confronto, e il nostro tessuto di scienza, esperienza e competenza è un valore prezioso perché, come ha acutamente osservato l’avv. Umberto Ambrosoli al recente meeting AIDC di Palermo “i primi interlocutori con il mondo delle regole sono i professionisti”.
Marco Rigamonti
Presidente AIDC
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