Le «avvertenze» al diniego di definizione delle liti complicano il ricorso
Per vari uffici il ricorso contro il diniego è un’integrazione dei motivi, ma la Suprema Corte «cassa» tale impostazione
In questi tempi stanno arrivando i dinieghi di definizione delle liti pendenti concernenti l’art. 39, comma 12, del DL 98/2011, per le cui modalità di impugnazione occorre osservare il disposto di cui all’art. 16, comma 8, della L. n. 289/2002.
Tale norma, con una formulazione molto ambigua, afferma che il diniego di definizione della lite pendente deve essere impugnato presso il giudice in cui è pendente la causa o, se pende il termine di impugnazione, unitamente alla sentenza: l’obiettivo è quello di concentrare presso un unico giudice la decisione sulla legittimità della definizione nonché, ove questa fosse negata, quella sul merito.
Abbiamo già rilevato (si veda “Ricorso «insidioso» contro il diniego di definizione delle liti pendenti” dello scorso 21 settembre) ...
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41