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OPINIONI

Le vere priorità nella riduzione del carico fiscale

Il Governo deve agire prima di tutto su detassazione dei redditi di lavoro dei giovani, cuneo fiscale e IVA

/ Enrico ZANETTI

Mercoledì, 8 maggio 2013

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Pubblichiamo l’intervento di Enrico Zanetti, Vicepresidente della Commissione Finanze della Camera.

Leggendo il Documento Economico Finanziario, la prima realtà con cui bisogna confrontarsi è quella della pressione fiscale, schizzata nel 2012 al 44,03% e attesa nel 2013 e 2014 rispettivamente al 44,40% e al 44,28%. Troppo elevata ed insostenibile, ma per ridurla bisogna avere chiari i presupposti che l’hanno determinata, altrimenti si otterrà solo di creare quelli per aumentarla ancora di più in futuro.

Questo livello di pressione fiscale non è figlio delle idee più o meno balzane di un gruppo di tecnici scollegati dalla realtà, ma delle mancate riforme strutturali. Riforme che il nostro Paese ha rinviato sino a quando, a giugno 2011, la crisi altrettanto strutturale dei conti pubblici è esplosa in tutta la sua evidenza sino ad allora negata, rendendo a quel punto inevitabile il ricorso allo strumento di riequilibrio più tristemente immediato e facile: l’aumento della pressione fiscale per aumentare le entrate di bilancio.
Infatti, già nell’ultimo DEF del Governo Berlusconi, approvato il 22 settembre 2011, dopo le due manovre estive e gli impegni assunti in sede europea, risultava prevista per il 2012 una pressione fiscale del 44,07%, per il 2013 del 44,84% e per il 2014 del 44,83%.

Al Governo Monti possono dunque essere contestate alcune cose, ma certamente non quella di aver meramente attuato un incremento di pressione fiscale che, per ineluttabile necessità contingente, era già stato messo a bilancio persino da coloro che, per lo meno a parole, sono i primi nemici delle tasse. Anzi, a ben vedere, il Governo Monti è riuscito a reindirizzare gli impegni di bilancio verso una pressione fiscale leggermente inferiore a quella che gli era stata lasciata in eredità: -0,03% nel 2012; -0,44% nel 2013; -0,53% nel 2014. Ci è riuscito grazie a una politica di rigore sulla spesa che, soprattutto se l’obiettivo è, come deve essere, quello di ridurre la pressione fiscale, deve necessariamente proseguire e semmai intensificarsi.

Anche da questo punto di vista, il confronto tra le risultanze del DEF che stiamo discutendo e l’aggiornamento che fu approvato a settembre 2011 è prezioso per documentare, numeri alla mano, l’efficacia di un’azione che deve proseguire su questo binario. Per il 2012, la minore spesa corrente a bilancio, rispetto a quella che si prevedeva nell’aggiornamento del DEF di settembre 2011, è di 13 miliardi. Sul 2013 questo differenziale sale a oltre 16 miliardi e sul 2014 arriva a superare i 23 miliardi.

Appurato che l’aumento di pressione fiscale era, nell’immediato, considerato inevitabile da tutti, la discussione oggi deve concentrarsi più che altro sulla qualità della sua mera attuazione da parte del Governo Monti. Ciò al fine di cogliere i profili di priorità nel riassorbimento delle singole componenti che hanno concorso ad attuare questo aumento.
Da questo punto di vista, l’introduzione dell’IMU e l’aumento dell’IVA, quest’ultimo peraltro in buona parte scongiurato e per la parte restante non ancora entrato in vigore, sono state scelte sicuramente preferibili ad aumenti dell’IRAP e delle imposte sui redditi di lavoro.
Sfidiamo chiunque ad affermare che sarebbe stato meglio aumentare di venti miliardi la tassazione diretta su imprese e lavoratori.

Ebbene: non vale forse lo stesso ragionamento oggi che, grazie ai frutti del risanamento dei conti, si può cominciare a impostare una graduale riduzione della pressione fiscale?
Questo ovviamente non vuol dire rinunciare in assoluto a limature sull’IMU, ma avere chiaro una volta per tutte che, nell’istante in cui si decidessero di veicolare a questo scopo non uno o due miliardi di risorse, ma sette o otto, si starà dicendo agli Italiani non solo “ti tolgo l’IMU sulla prima casa”, ma anche “non detasserò i redditi di lavoro degli under 30”, “non taglierò ulteriormente il cuneo fiscale” e forse anche “non bloccherò definitivamente l’aumento dell’IVA”. Perché l’unica alternativa, per fare tutte queste cose insieme, invece che alcune prima e altre solo poi, è far esplodere il deficit di bilancio.

Un approccio che sappiamo avere ancora oggi estimatori trasversali, ma che costituisce l’origine dei problemi dei nostri conti pubblici, non il punto di arrivo della loro soluzione. Ecco che, nell’impossibilità di fare tutto subito, l’ordine di priorità deve necessariamente essere quello dell’idoneità di una misura fiscale a impattare sulla crescita del PIL, proprio perché è con la crescita che si possono trovare le risorse per la copertura anche degli interventi che meno la impattano in modo diretto.

Noi auspichiamo che il Governo tenga bene a mente questo criterio nelle sue prossime scelte, contemperandolo solo ed esclusivamente con l’urgenza di dare sollievo anche alle famiglie più numerose e a quelle la cui prima casa è gravata da mutuo ipotecario, agendo prioritariamente sull’IMU solo nei limiti di queste finalità di intervento e, per il resto, prioritariamente su detassazione dei redditi di lavoro dei giovani, cuneo fiscale e IVA.

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