Sulla questione delle società di comodo, si specula con consapevolezza
Caro Direttore,
in occasione del question time settimanale in Commissione Finanze, ho chiesto al MEF se non ritenga opportuno valutare una revisione al ribasso dei coefficienti di rendimento figurativo che concorrono a determinare la soglia di ricavi sotto la quale scatta la presunzione fiscale della natura di comodo di una società, nonché se non ritenga opportuno eliminare la norma che lo scorso giugno 2011 ha ampliato questa presunzione anche alle società che chiudono in perdita per tre periodi di imposta consecutivi.
Ciò in considerazione del fatto che la crisi economica ha reso ancor più irrealistici i comunque sin dal principio troppo elevati coefficienti (anche per gli studi di settore, del resto, si sono introdotti appositi correttivi) ed ha reso tutto, tranne che ragionevole indizio di malversazione, il fatto che una società chiuda in perdita per tre periodi consecutivi.
Della risposta non ho capito una cosa e un’altra avrei preferito non capirla.
La cosa che non ho capito è perché, se interrogo il MEF, mi risponde l’Agenzia delle Entrate e il rappresentante del Governo si limita a leggere.
Chi è il legislatore che valuta le opportunità politiche e chi è il mero braccio operativo che si limita al più a valutare gli impatti tecnici?
Questo gigantesco equivoco sta alla base della pessima legislazione fiscale degli ultimi anni e va quanto prima risolto.
La cosa che invece ho purtroppo capito è che, nell’istante in cui mi si risponde che il problema sostanzialmente non si pone, perché le società, che non sono realmente di comodo, possono ottenere la disapplicazione della presunzione con una apposita istanza d’interpello all’Agenzia, ma al contempo mi si evidenzia che già solo ammorbidire la presunzione, passando da tre a cinque anni di perdite consecutive per farla scattare, significa stimare un minor gettito di 130 milioni di euro, si è allora perfettamente consapevoli del fatto che si stanno per pari importo taglieggiando imprese su basi imponibili immaginarie per imposte che non sarebbero dovute.
Infatti, se davvero la magica istanza d’interpello assicurasse che nessuna società non realmente di comodo pagasse queste imposte, è del tutto evidente che la rimodulazione al ribasso di una disciplina meramente presuntiva non dovrebbe avere alcun costo in termini di gettito.
Invece no, si specula, evidentemente con piena consapevolezza, sul fatto che alcune società rinuncino a presentare l’istanza, oppure non se la vedano accogliere anche se magari ciò dovrebbe avvenire.
Uno dopo l’altro metteremo a nudo queste autentiche aberrazioni, vestite di commi e rinvii normativi, certi che, quando un numero sufficiente di cittadini e parlamentari le avranno capite, sarà possibile finalmente smontarle.
Enrico Zanetti
Deputato Scelta Civica e Vicepresidente Commissione Finanze
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