Non del tutto assolutamente sopportabile
Sull’audizione di giovedì alla Camera, è già stato detto tutto, quindi difficile aggiungere qualcosa.
Abbiamo appreso ieri che l’IVA non versata nel 2014 ha superato gli 8 miliardi, con un incremento rispetto al 2010 di 1,1 miliardi. Se la crescita dell’IVA sottratta mantenesse il trend indicato (circa + 200 milioni all’anno) l’IVA non versata nel 2016 dovrebbe essere di 8,5 miliardi per passare a 9 miliardi nel 2018 e così via.
Immagino in effetti sia un po’ imbarazzante con numeri simili presentarsi periodicamente a Bruxelles per chiedere di sforare. Il proverbiale rigore teutonico credo abbia buon gioco nell’obiettare al nostro emissario di turno di cominciare con l’incassare quello che i cittadini e le imprese devono allo Stato, prima di chiedere nuovo deficit o a Draghi di stampare moneta. Il nostro atteggiamento alle loro orecchie penso suoni un po’ come l’adagio di Sant’Agostino: implorare misericordia, per poter continuare a peccare.
Giusto quindi correre ai ripari, tuttavia quali? Gli anni 2000, gli anni della digitalizzazione globale, sono stati un progressivo fiorire di invii telematici di ogni sorta e specie. Questo però non ha in alcun modo frenato l’evasione, che anzi, come ci è ribadito ad ogni occasione è iperbolica e in costante aumento. Sarà allora il rimedio un altro invio telematico?
Insisto con la metafora. Se nel corso degli ultimi anni il responsabile della sicurezza di un supermercato avesse piazzato 29 telecamere e ciò nonostante i furti fossero costantemente aumentati, alla richiesta della trentesima non sarebbe naturale se i suoi principali obiettassero: “Un’altra telecamera? E poi per fare cosa? Per vedere i filmati dei ladri mentre svuotano gli scaffali?”.
Come detto si tratta di importi dichiarati e non versati. Oltre alla cattiveria, al masochismo di versare un po’ dopo pagando sanzioni e interessi, credo che essenzialmente la molla che spinge a non versare l’IVA sia la carenza di liquidità frutto della crisi economica, e, in non pochi casi, determinata dalle stesse Pubbliche Amministrazioni che non pagano i loro fornitori. Meglio quindi riflettere ancora un po’, perché se il risultato fosse solo quello di emettere qualche mese prima avvisi di omesso o ritardato versamento, sarebbe davvero ben poca cosa sapendo quanto misere sono le percentuali di effettiva riscossione rispetto all’accertato.
C’è poi un secondo punto che merita di essere sottolineato. Il passaggio secondo cui, avendo le imprese e i loro consulenti i dati già disponibili in formato elettronico, a loro non costerebbe nulla comunicarli al Fisco. Ma se il principio è quello, perché per entrare al cinema mi fanno pagare un biglietto? Al gestore del cinema non costa nulla farmi entrare. Di più, perché il catasto e il Registro delle imprese per dirmi ogni singola informazione di cui dispongono (che è stata trasmessa loro gratuitamente in formato elettronico dalla comunità di coloro che poi di quelle informazioni fruiscono) mi fanno pagare “la visura”, anche salata? Loro sono enti pubblici che hanno proprio lo scopo di dare informazioni al pubblico. Perché allora vogliono dei soldi ogni volta che lo devono fare?
La risposta è semplice. Perché produrre, conservare e rendere disponibili a terzi informazioni è un processo costoso e delicato. Le informazioni devono essere raccolte, organizzate e possibilmente verificate, prima della loro trasmissione. Le imprese e i loro consulenti nel trasmettere informazioni all’Agenzia delle Entrate non traggono alcun vantaggio, mentre il vantaggio è tutto a favore della collettività, la quale disponendo di quelle informazioni potrà meglio perseguire i propri obiettivi. Non ci vedrei quindi nulla di male se la collettività, oltre a pagare gli stipendi dei dipendenti del Registro delle imprese, dell’Agenzia delle Entrate e dei vari enti che si occupano di tutelare gli interessi pubblici, prevedesse anche un congruo compenso a tutti coloro che collaborano in modo determinante al perseguimento di tali pubblici interessi.
Se le informazioni trasmesse avessero un prezzo, si avrebbe il duplice risultato:
- di rendere il ricorso alla richiesta di informazioni automaticamente efficiente e limitato al minimo indispensabile;
- di remunerare il lavoro di coloro che lavorano per produrre quelle informazioni.
Giustamente ci indigniamo per i braccianti obbligati a raccogliere i pomodori con salari da fame, ma continuare a pretendere di avere a costo zero informazioni ben selezionate e confezionate in eleganti cassettine elettroniche non ha un esito molto dissimile su chi vi deve provvedere.
Non del tutto assolutamente sopportabile, almeno.
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