Obiettivi dell’Agenzia per ottimizzare il controllo con effetti controproducenti
Gentile Redazione,
non si placa la polemica tra commercialisti e Agenzia sul contenzioso tributario. La dimensione della questione è grave, importante, e dovrebbe essere analizzata dal Governo con la dovuta scientificità, col supporto di specialisti in materia del comportamento umano.
Dal documento “Budget economico 2017 – allegato d) piano degli indicatori” reperibile sul sito dell’Agenzia si legge, a pag. 17, che per ottimizzare l’attività di controllo e migliorare la valutazione del rischio di non compliance da parte dei contribuenti si fissano (tra l’altro) i seguenti obiettivi:
- riscossione da attività di contrasto dell’evasione 15 mln;
- tasso di definizione della maggiore imposta accertata (MIA) 50%;
- % di sentenze definitive totalmente e parzialmente favorevoli all’Agenzia 64%.
Il primo obiettivo ci pare confligga con lo scopo: se davvero l’attività di controllo fosse ottimizzata per colpire solo gli evasori, questi sarebbero evidentemente dissuasi e quindi si dovrebbe assistere a un calo della relativa riscossione nel tempo. Come succede con le multe del tutor. Altrimenti significa che la platea dei contribuenti ritiene non premiante la correttezza.
Gli altri due determinano effetti nefasti soprattutto per gli onesti e controproducenti per l’Erario.
Prendendo l’indicatore della MIA, il messaggio dichiarato è che gli accertamenti vanno bene anche se fossero sbagliati del 50%. Ci chiediamo quale azienda potrebbe sopravvivere se considerasse soddisfacente sbagliare il 50% del proprio lavoro.
L’effetto è preoccupante: quand’anche il funzionario si rendesse conto che il contribuente ha ragione per oltre il 50% di quanto inizialmente contestato, il solo fatto che vi sia un rilievo sostenibile rende la definizione non conveniente, perché il premio scatta con l’indicatore successivo.
Da qui la difficoltà quasi insormontabile di chiudere adesioni quando il contribuente ha troppa ragione...
Con l’indicatore sul contenzioso il messaggio dichiarato è che gli accertamenti vanno bene a condizione che anche uno solo dei rilievi mossi sia riconosciuto corretto. Oltre all’assurdità in sé – che evidentemente provoca la convenienza gratuita per i verificatori di contestare qualsiasi cosa – la regola produce un incentivo ad appellare qualsiasi sentenza sfavorevole (l’indicatore scatta con la definitività), sperando che almeno un rilievo sia confermato, o che il contribuente commetta qualche errore procedurale.
Il tutto è condito con la sostanziale irresponsabilità dell’Agenzia nel caso di sconfitta. Manca, per usare le sue stesse parole, l’effetto deterrente della punizione per averci provato.
Di ciò si riscontra la piena consapevolezza leggendo il suo bilancio d’esercizio (ultimo disponibile anno 2015). A pag. 166 si legge che l’accantonamento al fondo rischi per il contenzioso tributario è di 50 milioni di euro e si precisa che “assume rilievo per il bilancio dell’Agenzia limitatamente ai costi relativi alla condanna al pagamento delle spese di giudizio e di eventuali consulenti tecnici di ufficio e di parte”.
Insomma, bastano 50 milioni per coprirsi dai danni generati da decine di migliaia di soccombenze totali (1/3 a budget) e parziali (probabilmente un altro 20%, ma il dato è incerto).
Si dirà: ma la materia è incerta ed è impossibile fare tutto giusto. E quindi un tasso di errore anche di una certa entità è ammissibile. È vero, ma non è questa una tesi che l’Agenzia può validamente sostenere se negli accertamenti non applica mai, di sua iniziativa, l’esimente di cui all’art. 6 comma 2 DLgs. 472/97 (non punibilità per obiettive condizioni di incertezza).
Infine, e concludo, cito in sintesi un altro passaggio interessante – preso dal PIANO DELL’AGENZIA allegato alla convenzione di servizio con il MEF – a pag. 10.
Dice l’Agenzia che per evidenziare la valorizzazione del suo contributo è utile calcolare l’indice percentuale dei costi dell’Agenzia sul totale incassato.
Tale indice – si dice ancor prima di calcolarlo, nella consapevolezza che comunque vada sarà un successo – “evidenzia quanto il costo di funzionamento dell’Agenzia sia marginale rispetto all’apporto che le attività di quest’ultima garantiscono in termini di entrate. In altre parole consente di apprezzare il notevole valore aggiunto che l’Agenzia offre, ponendosi quale unico centro di ricavo per il sistema paese”.
A parte il conflitto con il dettato costituzionale dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione, se l’Agenzia si vede come unico centro di ricavo per il sistema Paese, sarà difficile che nell’attività di interpretazione delle norme non tenga conto dei riflessi sul gettito.
È come se il giudice tributario decidesse utilizzando tra i suoi parametri il danno che provocherebbe all’Erario se desse ragione al contribuente. Come se il denaro del contribuente non fosse parte del sistema Paese...
Atteggiamento di cui è già stata data evidenza su Eutekne.info (si veda “Caro Babbo Natale, ti facciamo quattro piccole richieste”).
Giampiero Guarnerio
Presidente ANDC
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